Prosa
Uomo di mare
La moglie mi ha lasciato. Immaginatevi una bella sera, anzi, tutt'altro che bella, torno a casa e lei non c'è. Beh, ho pensato, sarà uscita per qualche faccenda. Ho cenato da solo e me ne sono andato a dormire. In quel momento non sapevo ancora che avrei cenato e dormito da solo per i successivi cinque anni. Al mattino, alcuni sospetti mi si insinuarono dentro. Ho aperto l'armadio e sono rimasto ammutolito, non c'erano tutti i suoi vestiti. Ottusamente guardavo le grucce spoglie e non credevo ai miei occhi. Ogni cellula del mio cuore gridava:" possibile che mi abbia lasciato?".UOMO DI MARE
CAPITOLO 1 - DANIELE
La moglie mi ha lasciato. Immaginatevi una bella sera, anzi, tutt'altro che bella, torno a casa e lei non c'è. Beh, ho pensato, sarà uscita per qualche faccenda. Ho cenato da solo e me ne sono andato a dormire. In quel momento non sapevo ancora che avrei cenato e dormito da solo per i successivi cinque anni. Al mattino, alcuni sospetti mi si insinuarono dentro. Ho aperto l'armadio e sono rimasto ammutolito, non c'erano tutti i suoi vestiti. Ottusamente guardavo le grucce spoglie e non credevo ai miei occhi. Ogni cellula del mio cuore gridava:" possibile che mi abbia lasciato?". Mi sedetti intorpidito sulla sedia e vi rimasi sino a sera. Lo capite bene, ero sotto choc. Se n'è andata senza dire niente, senza alterchi, senza spiegazioni sui nostri rapporti. E dire che abbiamo vissuto insieme per otto anni. Forse non ero un marito particolarmente premuroso. Ma ero così abituato ad avere una moglie che ritenevo la cosa del tutto normale. E così, dopo avermi abbandonato, era del tutto naturale che io fossi terribilmente addolorato.
Va detto, comunque, che negli ultimi due anni quasi non ci si scambiava una parola. In genere ho avuto sempre una certa difficoltà a trovare un linguaggio comune con le donne. Era per questo che io semplicemente le usavo senza tante complicazioni. Sapete, sono nato sul mare. D'estate lì vi sono tante turiste annoiate. Una giovane raramente rifiuta un'avventura romantica con qualche giovane italiano. La vita ribolliva intorno a me, gli anni volavano, e io cercavo di restare al passo coi tempi. Se voi sapeste come ci si infervorava con gli amici.
Ma voi, sicuramente, volete sapere tutto dall'inizio. Ebbene, ascoltatemi. Quando ho compiuto tredici anni, ho smesso di frequentare la scuola cattolica e ho cominciato a lavorare con mio padre. Mia madre, ovviamente, ne era amareggiata. Una cosa, peraltro, normale. Avrebbe voluto che almeno uno dei suoi figlioli diventasse una persona istruita. Ma non ne ricavò niente.
Il lavoro non era pesante. Mio padre si procurò un piccolo battello per gite turistiche. lo fui preso come marinaio. E come potete immaginare, tra i turisti capitava sempre qualche ragazzina avvenente. Talune mi sorridevano ammiccando. La cosa mi metteva in enorme imbarazzo. lo non avevo idea di che cosa parlare con costoro. Ma mi sentivo adulato dalla loro attenzione.
Devo dire che non mi sono mai distinto per un particolare sviluppo intellettuale. Ho finito soltanto la settima classe. Ma la mia naturale gioia di vivere e la mia allegria supplivano a quella carenza. Ho visto ragazzi che studiavano trattati filosofici, andavano in giro con volti emaciati, tenevano noiose conversazioni, ma non avevano ragazze a fianco. Alle belle ragazze piacciono giovani allegri e spensierati. Questo lo so per certo.
Verso i quattordici anni cominciarono le mie avventure amorose. Non appena se ne andava una fiamma, io facevo già amicizia con un’altra. Ma dopo una settimana dimenticavo anche questa e ne trovavo un'altra. Il carosello sessuale si srotolava come il filo da un rocchetto. Dopo di che alcune delle mie amiche scrivevano lettere indirizzate a me. Ma cosa m'importava di quelle righe vergate con cura quando davanti a me c'era la vita in tutta la sua bellezza.
Spesso ci si trovava tra amici per raccontarci le nostre conquiste erotiche. Periodicamente ci scambiavamo opinioni sui diversi trucchi che consistevano sul come, col minimo dispendio di tempo e di denaro, ottenere quanto desiderato. In queste faccende occorre essere astuti. Mi capite, vero? Bisogna dire che io ero un ragazzo abbastanza modesto. Ma giocavo al pallone e le ragazze mi amavano soltanto per il mio fisico atletico e per la mia candida ritrosia. Quando si è giovani non occorre altro. L'importante è attrarre l’attenzione. Nella mia vita dunque c’era sempre il sesso al primo posto. Come, peraltro, c’è ancora adesso. E nella vostra? A ventidue anni mi sono sposato con una tedesca. Per tre anni di seguito era venuta a lavorare nella nostra cittadina. Emma parlava l'italiano discretamente. Non che l’amassi, era stata lei a attaccarsi praticamente a me. E così ci siamo sposati. Ma per me lei è sempre stata un’amica, soprattutto agli inizi della nostra vita coniugale. E quando ti lascia un amico, in fondo è sempre molto doloroso. Per la verità, negli ultimi anni io non le rivolgevo alcuna attenzione amorosa. Persino dopo le gite serali in mare io non avevo fretta di tornare a casa. Fino a mezzanotte accompagnavo i turisti da una sponda all’altra del golfo. Passavano gli anni. Con Emma non avevo niente da dire, oltre alle consuete cose della quotidianità. Una noia disperata. Mia moglie, comunque, si dava da fare in casa: preparava da mangiare, lavava e mi accudiva come si deve. Non avevamo figli nonostante gli otto anni trascorsi insieme. Non ce ne siamo mai interessati particolarmente né ci siamo mai fatti visitare da qualche medico. Non venivano, e basta. Io stesso ho l'impressione di essere ancora un bambino.
Dunque, dopo la giornata lavorativa non avevo nessuna voglia di tornare a casa e quindi, di solito, andavo al bar. Lì passavo un'oretta dopo l'altra con gli amici davanti a un boccale di
birra. Ultimamente ho l'impressione che siano
dei falliti. Ma come si può ogni giorno dire
sempre le stesse cose, gli stessi pettegolezzi,
le solite barzellette. E se qualcuno confidava
loro qualche segreto, state certi, che il giorno
seguente lo venivano a sapere tutti. Le bobine
di radioscarpa lavoravano a pieno ritmo. Presi
dalla noia, raccontavano la stessa storia decine
di volte, aggiungendovi sempre nuovi dettagli.
Beh, si capisce. Non avevano una vita propria e
quindi dovevano sempre parlare di quella degli
altri. Tutti pettegolezzi a causa della propria
inettitudine e insufficienze. Sono stato brusco,
vero? Ricordo bene, con quale gioia essi
parlavano dei problemi degli altri. Come se le
disgrazie altrui possano renderti felice.
Il
primo anno, dopo la partenza di mia moglie, lo
ripeto, ero molto addolorato. Non uscivo di
casa. Mi sembrava che la gente, vedendomi, mi
indicasse con il dito: "guardate, guardate, a
quello è scappata via la moglie". Decisi che per
me la vita era finita.
Ma certi miei amici
non mi lasciavano solo. Essi regolarmente mi
chiamavano al telefono e venivano a trovarmi. E,
alla fine, riuscirono a farmi uscire dalla
depressione. Un bel giorno decisi di
rinfrescarmi un po’, cacciare i cattivi pensieri
e fare quattro chiacchiere come ai bei tempi. In
quel giorno entravo in una seconda fase della
mia vita.
Uno dei miei amici si chiama Mauro.
Un vero vampiro energetico. Quando parla con la
gente, immancabilmente la deve toccare, battere
una mano sulla spalla, dare una sistematina agli
abiti. Non riesce a non farlo. Quanto più
diventa vecchio tanto più spesso egli deve
toccare l’interlocutore. Egli fa body building e
la sua mente è diventata rigida e dura come il
suo corpo.
Tempo fa Mauro ed alcuni miei
amici decisero di allestire una palestra.
Comprarono molti attrezzi: pesi, panche, e vari
macchinari. Però la faccenda non prese piede, e
inspiegabilmente gli attrezzi acquistati
rimasero di sua proprietà. Non sapendo dove
portare tutto quel ben di dio, pensò bene di
piazzarlo nel mio giardino. Naturalmente
chiedendomi prima il permesso.
Da quel
giorno almeno un paio di volte la settimana
trascinava il suo sedere da me per allenarsi.
Ah, si! Dimenticavo di dire che ho una casa con
un giardino piccolo. Tutti i miei risparmi li ho
investiti in questa casa. Comunque Mauro non era
sposato e non lo è mai stato, perché era troppo
duro, nel senso che se si metteva in testa
qualche cosa, niente e nessuno potevano fargli
cambiare idea, tutti i discorsi con lui erano
inutili. Tre anni fa tornò dall’Inghilterra dove
aveva fatto il cameriere. Da quando tornò, non
faceva altro che parlare della cultura inglese,
di come tutti osservino la legge e come tutti
siano rispettosi verso il prossimo. Poi, con
Mauro andavamo al night club soprattutto
d’inverno quando la stagione turistica finiva e
nella nostra cittadina regnava una noia
pazzesca.
Io lo chiamavo il filosofo,
nonostante la sua frase filosofica suonava così:
“Cerca di capire!” Cosa precisamente bisognava
capire sfuggiva non solamente a me, ma a tutti i
suoi interlocutori. Mauro adorava soprattutto
discutere gli affari degli altri, poiché non
aveva nulla di suo da raccontare. Quando eravamo
al night, esaminava con lo sguardo le ragazze
domenicane che lavoravano come intrattenitrici.
Il loro scopo principale era quello d’agganciare
dei clienti per farsi offrire qualche drink
solitamente molto costoso, per far questo
cercavano d’intrattenere il cliente usando tutta
la loro astuzia. Ogni tanto ci andavamo anche
noi. Invitavamo due ragazze e ordinavamo una
bottiglia di spumante. Di solito non conoscevano
molto bene l’italiano, sapevano al massimo
trecento parole e le ripetevano in diverse
combinazioni.
In questo modo un paio di mesi
fa conobbi Mary. Lei adorava darsi un sacco
d'arie ma per il denaro era pronta a tutto. Per
cinque volte ci incontrammo, capite cosa voglio
dire! Sono geloso marcio, ma purtroppo quello di
far divertire gli uomini era il suo unico
lavoro.
L’altro mio amico si chiama Fabio.
Una volta in preda alla disperazione comprò un
vestito color arancione, un bel giorno lo
indossò e andò in piazza. Vedendolo, le
casalinghe si misero a ridere. Sono d’accordo,
il colore arancio è solare e mette allegria, ma
non è proprio adatto a un uomo di mezza età. La
sua disperazione era dovuta al fatto che la sua
amante domenicana gli aveva detto che era un
vecchio mostro noioso. Lui era rimasto vedovo da
circa dieci anni. Ma anche prima il suo
carattere era cupo e scorbutico. Non si sa il
perché egli percepisse una cospicua pensione.
Comunque spendeva quasi tutto quel denaro per
mantenere la sua ragazza. Era da qualche mese
che lei viveva a casa sua, ma ultimamente non lo
teneva in considerazione. Però Fabio capì che
questa era la sua ultima chance e la tollerava.
Dunque, quella sera i miei amici vennero a
prendermi. E come spesso accade dopo un lungo
periodo di tensione, finalmente tornò la calma.
Riacquistai fiducia in me stesso, ma non nelle
donne.
Avevamo bevuto bene! Loro mi
consolarono raccontandomi le situazioni più
tremende della vita di coppia. Così, facendo due
conti, capii che me l’ero cavata abbastanza
bene. Com’è risaputo, il tempo è la miglior
cura. Anche il mio dolore passò e la ferita si
rimarginò. Comunque ogni tanto riaffioravano i
ricordi. Per cercare di dimenticare tutto
definitivamente mi lasciai andare ai piaceri
notturni.
Ora torniamo al presente. Oggi
arriverà Barbara. L’ho invitata a passare
l’estate con me. Lei è di Cracovia. Un paio
d’anni fa l’ho conosciuta in un bar durante le
vacanze. Lei era con una sua amica. Invece con
me c’era un pescatore che conosco da molti anni.
Lui è un alcolizzato cronico, e quando non va a
pescare si ubriaca. Anche lui è stato lasciato
dalla moglie, lei se ne andò dicendogli che era
un uomo senza prospettive. Questo lo sa. Spesso,
dopo aver bevuto, cade dal motorino e si
ritrova pieno di dolori.
Non so il perché ma
tutte le mie amichette sono straniere, forse è
normale perché sin dall’adolescenza ho trascorso
molto tempo assieme alle turiste di altri paesi.
Comunque quelle donne mi sembrano più facili.
Ma questa Barbara che viene dalla Polonia non è
per niente così, con lei non è successo niente,
mi sembra di provare qualcosa nei suoi confronti
ma non riesco a trovare il modo per attrarla.
Ah, dimenticavo di dire che ora sono fidanzato.
Voi potreste dirmi che ho scordato di menzionare
la cosa più importante. Però, secondo me, Rita
non è la donna principale nella mia vita, ma
solo qualcosa di secondario. Adesso non è qui.
E’ andata via per circa un mese, come capite
bene, ho tutto questo tempo da passare con
Barbara. Forse riuscirò a combinare qualcosa con
lei. Spero d’essere stato abbastanza chiaro.
A proposito, Barbara lo scorso anno era già
stata qui. Allora avevo chiesto a Rita se fosse
stata d’accordo se l’avessimo ospitata. Rita
accettò volentieri dicendomi che finalmente
avrebbe avuto un po’ di compagnia. Può
sembrare strano ma lei in due anni non si è
fatta nessuna amicizia. Rita vedeva in me, il
senso della propria vita. Ma, a dire il vero la
faccenda non mi preoccupava affatto. Ero un
dongiovanni da giovane, e lo sono tutt’ora. Se
Rita vuol vivere con me, mi fa comodo. Perché
no? Fa le pulizie lava, stira, cucina, e anche a
letto è un uragano. Tutto questo mi sta bene,
sicuramente è gelosa di me, ma io sono fatto
così, non posso vivere senza le donne. A volte
avverto un senso di pesantezza che mi fa fuggire
da casa. Così chiamo qualche mia amichetta e
scappo.
Ecco, questa mattina quando sono
andato al porto a prendere Barbara
all’improvviso venni preso da un senso
d’imbarazzo. Così chiamai Mary. Lei è cubana. La
vita là è dura, per questo è venuta in Italia e
lavora nel nostro night. Vorrebbe racimolare un
po’ di grana.
Le ho detto che questa sera
verrà una mia amica polacca che rimarrà ospite
per un paio di mesi, chiedendole se le andava di
cenare con noi a casa mia. Mary non era
contraria, però rimase un poco sorpresa. Mi
chiese se intendessi fare qualche giochetto a
tre. Lei pensa sempre di trovarsi nell’ambito
del suo lavoro. “No mia cara, voglio solamente
te”. A lei andava bene così. Avevo nei confronti
di quella cubana un’attrazione incredibile e
quel suo sederino così rotondo, m’infuocava
meglio del viagra.
Ho invitato Barbara a
trascorrere qualche mese a casa mia perché mi
sono annoiato di quella vita monotona assieme a
Rita. Lei, tutto sommato mi stava bene come
donna, ma passare giornate intere assieme
diventava noioso. Una monotonia.
Come ho già
detto ho una piccola casetta a due piani.
L’appartamento al pianterreno l’ho affittato a
una giovane coppia. La casa si trova contro una
collinetta, così in pratica anche l’appartamento
in cui abito ha la porta d’ingresso che da’
direttamente sul giardino. Questo non è
importante. All’interno l’arredamento è moderno
tipo open space. In pratica ho tolto tutte le
pareti divisorie. Così, in una sola stanza, c’è
tutto: cucina, camera da letto e salotto. Tranne
il bagno che si trova in un angolo a pochi passi
dal mio letto. A dire il vero assomiglia ad una
grande stanza d’hotel. E allora alla fine dei
conti tutti noi siamo turisti su questa terra.
Per quanto riguarda Barbara, l’ho sistemata in
un lettino adiacente alla parete di fronte al
nostro letto. Per il momento la mia fidanzata
Rita non c’è, è partita per Bucarest. Comunque
quando tornerà, vedremo se le piacerà la
sistemazione. Certamente due donne e un uomo
nella stanza non è una situazione appropriata.
Però ogni tanto qualche cambiamento nella vita
serve. Chi vivrà vedrà.
CAPITOLO 2 -
BARBARA
Ed ecco la mia amata isola. Il viaggio sulle
acque mi ha rinfrescato. Mi è sempre piaciuto
guardare all'orizzonte sconfinato. Contemplare
quell'impercettibile linea dove l'azzurro cupo
del mare si fonde con l'azzurro più chiaro del
cielo, diventando un qualcosa di unico, dove il
tutto è unito a tutto. Così, sembra, parlassero
i saggi.
Il vaporetto entrava lentamente
in porto. Un paesaggio conosciuto. Una quantità
infinita di natanti grandi e piccoli con
bandiere italiane, francesi e portoghesi. Quella
moltitudine di colori abbracciava gli occhi. Su
ogni natante regnava una vita propria. C'era chi
prendeva la tintarella, chi giocava a scacchi
sorseggiando un gin tonico, chi leggeva i
giornali del mattino, chi semplicemente si
abbandonava a pacate conversazioni con gli
amici. Dolce vita da bohème.
Dal ponte di
mezzo guardai la costa cosparsa di gialle linde
casette che sembravano giocattoli. Quelle
casette si inerpicavano come gradini diseguali,
sulle verdi colline, orlando questa cittadina da
favola. Scendendo dalla passerella, guardavo a
quella folla multicolore che mi veniva incontro.
Dove era mai il mio Daniele? Possibile che fosse
in ritardo? Veramente non avevo fretta. Ero
venuta a riposare al mare e non sapevo neanche
quanto mi sarei fermata. Dovevo godermi ogni
istante.
Fendendo la folla, scorsi il mio
amico. Egli se ne stava un po' in disparte e,
vedendomi, agitò con gioia entrambe le braccia
venendomi incontro. Benché non fosse
particolarmente caldo, Daniel vestiva la sua
solita "divisa" di stagione: una maglietta,
calzoncini e ciabatte di cuoio. D’estate, ma
raramente, solo quando doveva andare a qualche
incontro importante, si metteva i calzoni.
Altrimenti tutta l’estate andava in giro in
shorts. L'istinto naturale, evidentemente, gli
diceva che i calzoni non erano fatti per lui. Di
certo non vi si sentiva a suo agio. Si sentiva
parte della natura. In genere, un uomo che ha
vissuto tutta una vita sul mare, si abitua alla
libertà anche nel vestire.
Sì, egli era
proprio quel capitano della goletta che conobbi
due anni fa. Nonostante il cielo nuvoloso,
portava i suoi soliti occhiali da sole scuri e
sembrava un turista appena arrivato. Lo trovai
più in carne, con un'appena percepibile
pancetta. Nei mesi invernali egli non lavorava.
Ma, come una volta - così mi scriveva nelle sue
lettere - si dilettava con i suoi cibi preferiti
e con le bistecche alla piastra. Per questo
aveva accumulato peso superfluo. E meno male che
alla sera faceva footing. Altrimenti non lo
avrei riconosciuto.
Fermandomi, adagiai le
borse per terra. Con un largo sorriso, Daniele
si avvicinò e mi salutò ad alta voce:
“Ben
arrivata, cara!” I passanti ci guardarono.
“Salute, re dei mari!” e lo abbracciai,
baciandolo sulla guancia.
“come ti sembro?
Sono cambiato in un anno?” mi domandò per prima
cosa, facendo un passo indietro.
Daniele
voleva sempre sapere quale impressione faceva
sugli altri. Io, ancora una volta, lo guardai
con attenzione. Nonostante tutto era bello. Si
distingueva per quella bellezza che caratterizza
il tipo mediterraneo e che attrae le ragazze.
Capelli neri, pettinati all'indietro, viso
stretto, furbi occhi azzurri orlati di spesse
ciglia, naso diritto, mento leggermente aguzzo.
“Sembri un Casanova”, gli risposi.
Egli
sorrise teatralmente.
“Allora, seduci turiste
come prima?” gli chiesi.
“Non ci riesco più”
rispose abbassando gli occhi con pudore. “Non ho
più l’età”.
Chiaramente cercava un
complimento. Nonostante i suoi quarantadue anni,
ne dimostrava trentacinque. Il mio amico
raccolse il mio bagaglio e ci incamminammo nella
direzione del parcheggio. Guardando dei grassi
americani che camminavano davanti a noi, gli
chiesi:
“Come sta Rita?”
“E' andata a
casa per un mese. Sta facendo i documenti per
sistemarsi qui, sul lavoro”.
“Ma va'! Che
tipo di lavoro?”
“Cameriera”.
“E tu? Sei
contento?”
“E sempre meglio che lavorino
marito e moglie”.
“Hai mica deciso di
sposarla?”
"Prova ad immaginare! Forse in
autunno. Sembra che ho trovato la donna dei miei
sogni."
"Che stai dicendo? Lei è al
corrente?"
"Per il momento no."
"Però sono
già tre anni che convivete."
Salimmo in
macchina ed ebbi l’impressione che Daniele si
sentisse in imbarazzo. Forse pensò di aver
sbagliato nel confidarmi del suo futuro
matrimonio. Sapevo di piacergli ed ero sicura
che ci avrebbe provato anche con me. Magari lo
diceva apposta, per stuzzicarmi. Forse pensava
che, spinta dalla gelosia, lo avrei sedotto per
prima.
L'anno scorso Daniele mi aveva
invitato a passare da lui un paio di settimane e
così conobbi Rita. All'inizio mi sembrò semplice
e amichevole ma un po' troppo invadente. La
prima sera andammo in discoteca. Per strada Rita
mi parlò con cattiveria della sua Romania, della
cittadina locale e della sua gente. Capii subito
che non aveva amici. Emanava forti flussi di
energia negativa.
Daniele aggiustò gli
specchietti, accese la radio, mi guardò e disse:
"Allora cosa c'è di nuovo? Raccontami tutto.
Cosa hai fatto di bello?"
Può sembrare strano
ma ci eravamo sentiti dall'anno scorso. Regolai
il sedile e aprendo il finestrino risposi:
"Sono stata in Thailandia."
"Ah si? Per un
anno intero?” Mi chiese, alzando un sopracciglio
con aria stupita.
“Ma no! Circa sette mesi."
"Non è poco. Ti sei fatta degli amici là?
Annuii con la testa. Il mio amico accese il
motore e si diresse verso casa sua. La strada
serpeggiava costeggiando il mare. Dopo una breve
pausa mi chiese:
"E cosa hai visto di bello
in Thailandia?"
“Bangkok. Giungla. Golfo del
Siam."
"Ho sentito dire che la gente va in
quei luoghi in cerca di avventure sessuali."
"E' proprio così. La vita notturna infiamma le
anime."
"E gli aborigeni come sono?"
"Sono
molto gentili. Se qualche straniero si irrita
per un motivo o l’altro, di solito smettono di
parlare e aspettano finché quello si calma."
"Che pazienza! Dunque anche tu sei andata in
cerca di avventure?"
"Non proprio. Per tre
settimane ho girato il paese e dopo mi sono
fermata."
"Dove?"
"Vicino alla città di
Chiang Mai. E’ quasi al confine con Birmania."
"Come mai?"
"Sai per riposare un po’…
Montagne, aria fresca, amici."
"Ho capito."
La strada cominciò a salire verso la collina.
Daniele cambiò la stazione della radio e si
concentrò sulla guida. In realtà, dopo aver
visitato quel paese, avevo deciso di vivere
presso un monastero, dove era permesso il
soggiorno agli stranieri. Ma era meglio che per
il momento Daniele non lo sapesse.
Guardando
fuori dal finestrino mi ricordai gli avvenimenti
di due anni fa. Fu la mia prima volta su questa
isola. Io e la mia amica eravamo scappate dalla
nostra città in cerca di tranquillità e
silenzio. E così un giorno in un bar avevamo
conosciuto Daniele; che, come sempre, in cerca
di una nuova avventura decise di corteggiarmi.
Scegliendo però un modo insolito.
Prima mi
aveva fatto fare la tipica gita sul mare,
dopodiché aveva legato la sua barca al molo
deserto. Seduto accanto a me mi aveva raccontato
per tre ore delle sue amanti. Io coricata sulla
panchina guardavo le stelle, e, sullo sfondo del
rumore delle onde, ascoltavo le sue rivelazioni.
Pian piano avevo capito che il trauma consisteva
nell'abbandono da parte di sua moglie. Avevo
intuito che voleva sfogarsi e non lo interruppi.
Ero una buona ascoltatrice, però tre ore di
fila...
La mia compagnia gli era piaciuta ed
il giorno dopo mi aveva invitato a cena. Davanti
a un abbondante piatto di pesce aveva continuato
con la sua storia. Era una maniera originale di
flirtare. Ma avevo deciso di stare al gioco.
Così Daniele continuò per una settimana intera.
Capii allora che non riusciva a stare solo e
necessitava sempre di qualcuno al suo fianco.
Ora Daniele non parlava, io invece osservavo i
paesaggi già conosciuti. La bellezza dell'isola
mi incantava. Sullo sfondo delle nuvole bianche
i rami dei pini marittimi dondolavano appena. I
raggi del sole penetravano l'aria densa come un
ventaglio magico. Sentivo anche il profumo dei
fiori.
La prima volta che ero riuscita a
compenetrare nel mistero della natura viva ero
in Thailandia. Il mio maestro mi aveva rivelato
i segreti della contemplazione mistica.
La
stradina cominciò a scendere, e di nuovo il mare
apparve davanti a noi. Le onde di color zaffiro
sembrarono illuminate dall'interno. Mi venne il
desiderio irresistibile di fare il bagno.
"Ci
sediamo sulla spiaggia?" proposi io.
"L'acqua
è fredda". Fu come se Daniele avesse letto nei
miei desideri.
"E va bene. Fermati appena
puoi! Facciamo una passeggiata lungomare?"
"Come vuoi, cara mia."
Scesi dalla macchina.
Camminammo su quella spiaggia che ricordavo
benissimo. L'anno scoro qui prendevamo il sole
con Daniele quando aveva qualche ora libera.
Quella volta mi aveva parlato di Rita.
Soprattutto era contento di non essere solo e di
vivere con lei.
L'anno scorso finita la
vacanza ero ripartita per la Polonia ed ero
tornata alla mia solita vita. Dopo essermi
laureata avevo insegnato religione. Questo
lavoro mi piaceva perché avevo l'opportunità di
approfondire le dottrine diverse. Le conoscenze
si accrescevano e assumevano il peso di... Ma
purtroppo la quantità non si trasformava in
qualità. A volte il senso di un romanzo intero
può essere espresso in una sola frase.
Leggevo i commenti dei vari insegnamenti e così
avevo notato un pensiero ripetitivo. Si trattava
del fatto che la dottrina non poteva essere
capita intellettualmente ma bisognava viverla.
Questa frase si ripeteva soprattutto nel
buddismo. Tutti i maestri dicevano che dovevi
diventare la tua sapienza. Solo in quel caso
potevi raggiungere qualcosa o meglio capire
l'essenza della vita.
Daniele camminava
accanto a me e ogni tanto mi guardava senza dire
niente. La spiaggia fu quasi deserta, qui c'era
una donna con il bambino, lì un gruppetto di
studenti. Dopo un po' ci sedemmo su una coperta
che Daniele preventivamente aveva portato con
se.
Avevo nostalgia di questa estate
sull'isola italiana. Guardavo le acque blu, in
cui danzavano i riflessi del sole. La sabbia
bianca era sottile e molto piacevole al tatto.
La raccoglievo nel palmo delle mani osservando
mentre fluiva lentamente tra le dita come il
tempo che scorreva via.
Mi sdraiai e chiusi
gli occhi. Davanti ai miei occhi passavano le
immagini dell'anno scorso. Perché allora avevo
deciso di visitare l'Oriente? Forse perché la
vita mi aveva deluso completamente. Nulla poteva
darmi soddisfazione: né l'amore, né il lavoro,
ne le gite, ne gli amici e neanche lo sport.
Ogni anno la vita diventava sempre meno intensa
e perdeva il gusto aspro dell'avventura. Mi
sembrò che intorno a me ci fosse un teatrino
meccanico. Ero quasi soffocata dalla ripetizione
monotona dei giorni insensati. Proprio allora
avevo deciso di partire per la Thailandia con la
voglia di assaporare la saggezza orientale.
Dopo cinque minuti si coricò anche Daniele, mise
le mani sotto la nuca e iniziò a raccontare
dell'inverno passato. Disse di aver preso sei
chili e per questo a marzo si era allenato molto
facendo bodybuilding. Anche perché era il
capitano di una bagnarola e doveva per forza
essere in perfetta forma.
Da lontano sentivo
le parole “pesi, bicipiti, tricipiti”; ascoltavo
la piacevole musica del mare ricordando i suoni
simili del golfo di Siam, e di nuovo volavo via
con la mente in quel monastero dove avevo
vissuto per sei mesi.
Ancora per mezz'ora
Daniele continuò a raccontarmi i pettegolezzi
del borgo, ed io invece udivo solo le canzoni
degli spiriti del mare.
Mettendosi al volante
il mio amico accese il motore e con aria
indecisa disse:
"A proposito stasera ceneremo
in compagnia di una mia conoscente."
"Conoscente?"
"Si, è una mia amica cubana."
"E la fidanzata?"
"La fidanzata è partita per
un po' di tempo."
Io strinsi le spalle. Il
suo comportamento comunque non mi sorprendeva,
anche perché ultimamente egli era sempre
circondato dalle donne. Spesso gli capitava di
avere due amanti contemporaneamente, ma la
faccenda non lo preoccupava affatto, perché con
il suo temperamento di macho latino avrebbe
potuto accontentare una piccola fabbrica al
femminile. Daniele allacciò la cintura di
sicurezza e mi chiese seriamente:
"E tu hai
un fidanzato?"
"Il fidanzato non ce l'ho."
E' questa era pura verità. Avevo un boy friend,
ma non pensavo di sposarlo. Proprio da lui ero
scappata in Thailandia, perché non stavamo bene
ne insieme e tanto meno separati e questo mi
faceva soffrire. Lontana da lui mi sentivo sola,
ma quando eravamo insieme non facevamo altro che
litigare. A questo punto avevamo deciso di
lasciarci per un po'. Alcuni momenti mi mancava
tantissimo, però cercavo di rassegnarmi. Così un
giorno avevo condiviso il mio stato d'animo con
i miei amici. Uno di loro era in partenza per
Bangkok. Allora avevo pensato di andarci
anch'io. Almeno potevo distrarmi un po'. Proprio
quel giorno qualcuno mi aveva detto che
l'attaccamento ad un'altra persona creava tutti
i problemi. Sparita la dipendenza scomparivano
le contraddizioni.
Avevo chiesto una
aspettativa dal lavoro. Siccome in quel periodo
lavoravano gli studenti praticanti che
insegnavano religione, l'amministrazione mi
aveva concesso un mese di ferie. Era vero che
proprio nell'attaccamento consisteva il mio
problema principale. Da una parte mi sentivo
viva e contenta quando il mio boyfriend mi stava
accanto, dall'altra parte i nostri litigi mi
toglievano energia. A questo punto avevo deciso
di vivere per un paio di settimane in Oriente.
Di seguito avevo chiamato il direttore per far
prolungare le mie ferie. Dopodiché era iniziata
l'estate e così ero rimasta in Tailandia per un
lungo periodo.
"Un'ora di esercizi quotidiani
ti darà risultati inimmaginabili, non devi fare
altro che praticare". Con queste parole mi aveva
salutato il mio maestro. Tornata a casa, lo
stesso giorno avevo subito chiamato il mio
fidanzato. Per alcuni giorni avevamo vissuto una
vita da favola e col tempo avevo dimenticato
tutte le mie pratiche orientali. Dopo era
iniziato tutto da capo, i rimproveri reciproci,
le offese, i litigi. Egli aveva cominciato a
stancarmi, mi torturava l'anima.
In uno di
questi giorni infernali mi aveva chiamato
Daniele proponendomi di fare la guida turistica
sulla sua bagnarola. Senza pensarci un attimo
avevo accettato. Provavo il desiderio di
cambiare la mia situazione e di tornare alle
pratiche meditative. Avevo pensato che era
meglio meditare in un posto dove c'è mare,
montagna, aria fresca e il canto degli uccelli.
Così avevo chiesto le dimissioni dal collegio.
Ero partita senza lasciare nessun recapito al
mio amante. Dovevamo riposarci l'uno dall'altro,
ma sapevo che il nostro amore ormai era
agonizzante. I cocci di un sentimento non
potevano essere riuniti, ma quell'attaccamento
di cui non riuscivo a sbarazzarmi mi torturava.
Questa volta avevo pensato di liberarmene per
sempre. Avevo tutta un'estate davanti a me.
Finalmente arrivammo alla fattoria di Daniele.
Dall'ultima volta non era cambiato niente, la
stessa casetta gialla, la stessa terrazza con un
camino e un letto nell'angolo. Il suo giardino
era pieno di abeti giovani cresciuti un po',
l'orto era rigoglioso e si notava la cura che la
sua fidanzata gli dedicava. Il suo cane nero
trascurato, vedendomi, cominciò a scodinzolare.
"Ricordami il nome del tuo cane!" chiesi a
Daniele prendendo in mano la mia borsa.
"Flox." Rispose.
"Se mi permetti faccio
subito la doccia." Gli dissi mettendo i bagagli
sul mio letto.
Dopo un'ora una donna cubana
entrò in casa e mi lanciò uno sguardo
presuntuoso. Mi salutò con superbia. Con l'aria
da padrona di casa cominciò a darsi da fare in
cucina. Lei si precipitava dal forno al frigo,
dal frigo al tavolo, dal tavolo al piano di
cottura. Mi meravigliai come poteva muoversi
tanto abilmente con le sue proporzioni così
considerevoli. Quando si avvicinava a me,
sentivo diffondersi un miscuglio di fragranze e
odori strani.
Pian piano mi misi a disfare le
valigie, senza fretta ordinavo i miei vestiti e
osservavo lo svolgersi della situazione. Daniele
si sedette al computer, apri la sua posta
elettronica e mi chiamò con aria misteriosa.
Decise di impressionarmi con le foto pittoresche
delle sue amanti che continuavano a scrivergli.
Fu molto fiero di quella sua collezione e
soprattutto del fatto che egli possedeva tutte
queste femmine. Alcune addirittura erano foto
osé. Anche Mary si avvicinò per vederle
scuotendo la testa e sorridendo con un'aria di
approvazione. Visto che non era gelosa, capii
subito il suo ruolo nella vita di Daniele.
Avevo intuito che dopo la nostra cena romantica,
il mio amico voleva rimanere da solo con la sua
invitata. Così per non disturbarli chiamai il
mio vecchio conoscente. Riccardo era un campione
nel campo delle relazioni pubbliche di quella
cittadina. Egli sapeva tutto e di tutti. L'anno
scorso mi aveva fatto conoscere molta gente.
Sentita la mia voce Riccardo si rallegrò e dopo
mezz'ora venne a prendermi. Sua moglie faceva la
cassiera in un supermercato. Era una
sempliciotta amichevole. Alcuni anni fa gli
aveva detto che non lo desiderava più. Da quel
giorno non avevano più fatto l'amore. Non
avevano neanche i figli e dunque il povero
Riccardo, dopo aver imbiancato l'ennesimo
soffitto, cominciava a gironzolare per la
cittadina alla ricerca di avventure. Non
compresi subito perché mi disse che nel night si
esibiva una nuova spogliarellista, facendo certe
cose che facevano perdere al pubblico il dono
della parola. Dopo di che si lamentò del fatto
che la sua amica Lola l'aveva lasciato, partendo
per il suo paese. Aveva vissuto a casa sua,
accudendo il suo padre malato e cucinando anche.
E a volte, quando la moglie di Riccardo non
c'era, faceva sesso con lui.
La moglie
nonostante il suo intelletto limitato aveva
intuito la faccenda. Secondo Riccardo, lei non
avrebbe dovuto rinunciare al suo dovere
coniugale. Certamente le casalinghe
spettegolavano di quel legame, sottolineando
soprattutto la loro differenza d'età di
vent'anni. Comunque sua moglie si era rianimata
un po' dopo la partenza di Lola e per il futuro
prossimo aveva rinunciato ad avere una
collaboratrice domestica.
Passate due ore
ritornai alla casa di Daniele. Si sentiva
l'odore di fritto misto e dell'atto sessuale
recente. I protagonisti, come se niente fosse,
erano seduti a tavola, sorseggiando vino rosso.
Guardando le loro facce rilassate, capii che
l'incontro aveva avuto un buon esito. Certamente
potevo immaginare da dove veniva questa Mary.
Anche perché il mio amico, quando voleva
conoscere una donna nuova, si recava sempre nel
night, dove loro erano sempre disponibili per
una certa somma.
Dopo un po' la silenziosa
Mary si affrettò per andarsene. Perché, come mi
spiegò Daniele, doveva lavarsi, truccarsi e
prepararsi per il suo lavoro notturno.
Passati dieci minuti, ci sedemmo sul divano e,
guardando la tv, cambiavamo i canali cercando
qualcosa di interessante. Passata mezz'ora di
chiacchiere banali, presi il libro che stavo
leggendo e mi coricai sul mio lettino. Daniele
chiese:
"Cosa leggi?"
"Coelho."
Un incontro strano
Gino sapeva di non piacere alle donne. Basso di statura, molto robusto, con le braccia corte e le gambe grosse, quasi calvo e con la testa di una forma strana, lui creava alla gente una impressione poco piacevole. Tutta la vita aveva vissuto con la madre e adesso , dopo aver compiuto quarantadue anni, si recava in viaggio all'isola di Capri, come sempre con la mamma, oltre che con un gruppo di turisti del suo paese. Si rendeva conto che la sua vita non sarebbe cambiata mai.un incontro strano
Gino sapeva di non piacere alle donne. Basso
di statura, molto robusto, con le braccia corte
e le gambe grosse, quasi calvo e con la testa di
una forma strana, lui creava alla gente una
impressione poco piacevole. Tutta la vita aveva
vissuto con la madre e adesso , dopo aver
compiuto quarantadue anni, si recava in viaggio
all'isola di Capri, come sempre con la mamma,
oltre che con un gruppo di turisti del suo
paese. Si rendeva conto che la sua vita non
sarebbe cambiata mai.
Lui era un po’ filosofo
e capiva che in linea di principio dopo i
quarant' anni è quasi impossibile cambiare il
proprio carattere, il proprio destino. E questo
voleva dire che era ormai designato a girare sul
cerchio chiuso della sua vita noiosa. Certamente
avrebbe potuto fare uno sforzo enorme e cercare
di lasciare questo cerchio.
Ma Gino era un
po' pigro e la sua vita si muoveva per inerzia.
Ma che razza di vita era !!! Una vita monotona e
noiosa. Ma in generale che cosa è la vera vita?
In ogni caso non quella esistenza melancolica
che conduceva nel suo piccolo paese. Almeno cosi
pensava la gente che lui conosceva. Gino aveva
dei soldi, о ne aveva abbastanza come pensava
lui stesso.
Anche se ultimamente lui non
lavorava, aveva fatto una fortuna durante i
cinque anni nei quali aveva gestito una modesta
cartoleria. Spendeva pure poco, come
si possono spendere dei soldi se non hai
ne moglie, ne figli, ne tanto-meno un’amante, о
un hobby particolare о un qualsiasi desiderio
fondamentale. Gli interessi bancari gli
bastavano per garantirsi tutte le cose
necessarie e la mamma aveva un appartamento che
affittava ad una giovane famiglia.
Gino e la mamma abitavano alla periferia del
paese. Molto raramente si liberavano dalla loro
vita noiosa e partivano per un viaggio. Anche in
un viaggio lontano, pur essendo persone
riservate e poco comunicative, nel pulman si
sedevano vicini e di tanto in tanto si
scambiavano delle impressioni. Gino si rendeva
conto della sua immagine poco decorosa, ma non
faceva caso alle donne e non parlava con loro.
Allo stesso tempo nella sua memoria c'era una
frase che ricordava fin dalla gioventù. "Quando
neghi qualcosa ti senti infelice." Lui ignorava
le donne e quindi, negava il loro diritto di
esistere, almeno nella sua vita. E veramente lui
si sentiva infelice.
Negli ultimi dieci anni
di questa vita mediocre, come pensavano i suoi
vicini, aveva letto tanto, cercava di trovare le
risposte alle sue domande fondamentali. Ma ci
deve essere un senso anche alla sua vita grigia.
Grazie alle sue numerose letture Gino cominciava
ad apprezzare le varie correnti filosofiche, più
di tutto gli piaceva l’esistenzialismo. I libri
di Sartre e Camus lo confortavano. Trovava un
fascino masochistico nel vivere la sua
solitudine e alienazione. La sua vita era
assurda e Gino aveva la sensazione che il mondo
che lo circondava gli fosse estraneo. La sua
vita non aveva senso. Gli avvenimenti accadevano
e da lui non dipendeva niente. Ma nonostante la
sua solitudine non si sa perché, si sentiva
libero e andava avanti senza cambiare niente.
L’ultima sera della loro vacanza andò a salutare
il mare. Gli piaceva questa isola, questo porto
соn una enorme quantità di barche. L'aria
notturna dei pellegrinaggi lo emozionava.
Austeri francesi, vistosi spagnoli con l'aria
importante troneggiavano sulla poppa dei loro
yacht bianchi e assaggiavano bevande molto
costose; osservando la gente che passava davanti
con superiorità. La folla dei vacanzieri batteva
il tempo col piede ascoltando la musica di
un’orchestra bizzarra. I bambini giravano
intorno alla piazza sui monopattini che ora
andavano di moda. La gente si rilassava. Nessuno
lo guardava, nessuno lo indicava con un dito,
nessuno lo seguiva con lo sguardo e nessuno gli
gridava dietro "mostro". Così lo chiamavano
spesso nel suo paese natale, quando le compagne
di classe non gli davano tregua.
Passeggiando
sul lungomare Gino entrò in uno dei numerosi
bar. Dentro si ascoltava della pop-music.
Ordinato un bicchiere di vino, si accese una
sigaretta e si concentrò sui propri ricordi.
Purtroppo non era nato bello. II suo soprannome
era Orco. Nessuno voleva mettersi vicino a lui.
Durante la pausa delle lezioni non usciva di
classe perché non voleva trasformarsi in un
oggetto delle infinite risate. Se veniva un
maestro nuovo e vedeva per la prima volta la sua
testa che assomigliava ad un uovo, il suo fisico
mal fatto, il maestro doveva nascondere il
sorriso. Delle ragazze non se ne parla neanche.
Le bambine, le ragazze, le donne lo ignoravano
sempre. E così non aveva ancora goduto delle
gioie dell’amore. E non gli restava altro che
sognare. Quante volte si immaginava questo
incontro, quante volte si tormentava ricordando
gli episodi commoventi dei film, quante volte si
domandava: "Ma perché nella mia vita non c’è
1'amore?". Gli piaceva leggere i romanzi
medievali nei quali 1'amore era descritto in un
modo romantico e appassionante. I momenti
dell’intimità, come lo emozionavano questi
momenti, come lo affascinavano, che forte
desiderio richiamavano dentro di lui... Che
fare... Un desiderio irrealizzato.
Lui non
voleva una donna sconosciuta, sarebbe stato
molto facile, bastava pagare e affondarsi
nell'oceano della passione. Lui voleva un amore
vero, un amore favoloso. Un amore tale che per
tutta la giornata aspetti l'incontro con
trepidazione e quando guardi la tua amata e
tutto si gira dentro, allora uno sfioramento
leggero richiama le onde del tremore dolce in
tutto il corpo. Non aveva un idea del perché la
sorte fosse stata cosi crudele con lui. Gli
sembrava di non essere mai stato cattivo con la
gente, e di aver commesso pochi peccati in
questa vita.
Gino neanche si era accorto di
come lei fosse apparsa vicino a lui. Proprio
come il soffio della brezza lo rinfrescò, questo
sottile profumo, profumo di donna. La vicinanza
di lei lo fece inebriare, ma lui pur consapevole
della propria figura un po’ strana non permise
di alzare gli occhi e guardarla.
Come sta? -
la voce di velluto di questa estranea lo fece
quasi svenire.
Si, senza dubbio la domanda
era rivolta verso di lui. L'esperienza nei
rapporti con le donne gli mancava del tutto. I
pensieri gli correvano in testa, accavallandosi
uno sull’altro, ma non riuscì ad
inventarsi niente di spiritoso. E ha risposto in
un modo un po’ strano:
« Sto ancora »,
solo adesso ebbe il coraggio di guardare
in faccia la sua interlocutrice.
Una giovane
donna lo guardava negli occhi. Ma in che modo
poteva attirare la sua attenzione? L'unica donna
con la quale lui comunicava ultimamente era sua
madre, che a quest'ora dormiva stanca dalle
intense impressioni del viaggio. La pausa
cominciava a diventare lunga. II suo intuito gli
diceva che la donna aspettava da lui qualche
azione. Probabilmente se non dimostrava subito
il suo desiderio di continuare il discorso, lei
semplicemente se ne sarebbe andata. Decise di
prendere iniziativa.
«Le posso offrire
qualcosa da bere? » - voleva essere galante.
«Con piacere», - sulle sue labbra apparve un
sorriso misterioso.
Volendo fare un’ottima
impressione, decise di ordinare una bottiglia di
spumante. Sembrava che la donna leggesse i suoi
pensieri. Lei sorrise di nuovo. Lui non sapeva
come interpretare questo sorriso un po' strano.
Gli mancava l’esperienza in questioni amorose.
Non sapeva neanche di cosa parlare. Come lui
trascorre le sue giornate? Lei si sarebbe
stancata subito di questi discorsi. Ma cosa c'è
d’interessante nella sua vita?
Ogni mattina
faceva colazione con la mamma. Fino a pranzo
leggeva i giornali e guardava la TV, dopo pranzo
leggeva i testi dei suoi filosofi preferiti. Dai
libri dei mistici era venuto a conoscenza che
ogni persona ha il suo angelo-custode.
Pensava che lui di certo non ne aveva nessuno,
altrimenti la sua vita si sarebbe svolta
diversamente. Questo pensiero ha cominciato a
coltivarlo sempre più spesso e decise di
inventarsi il suo angelo.
A volte veniva a
trovarlo un conoscente. Anche questo soffriva di
solitudine e non aveva amici. Cosi cenavano in
tre. Quando fuori si oscurava Gino usciva.
Adorava passeggiare da solo, fino a tarda ora.
Sulle strade c’era poca gente e nessuno rideva
del suo fisico mostruoso. Camminava e camminava,
guardava le luci che si accendevano nelle
finestre, guardava la luna, le stelle e pensava
a se stesso. Si chiedeva che razza di essere era
lui, dove era stata la sua anima quando non era
ancora nato. Continuava a guardare il cielo
stellato. E gli veniva un pensiero che la
finestra di ogni casa da' non solo sul cortile,
ma anche sullo spazio aperto. Piano piano lui
incominciò a parlare con il suo angelo
inventato. Gli raccontava delle sue sensazioni,
delle sue emozioni, del suo passato, delle sue
piccole gioie. E quasi ogni giorno gli chiedeva
un consiglio su come andare avanti, ma l'angelo
invisibile taceva.
Allo stesso tempo
considerava che la sua vita vuota e monotona era
abbastanza piacevole perché si sentiva libero.
Ai tempi, di quando aveva la ditta, li ricordava
come un brutto sogno. Quella non era la vita di
una persona ma di un robot. Un robot che dalla
mattina alla sera comprava, vendeva, cercava i
clienti, incontrava la gente, telefonava,
rispondeva al telefono, teneva la contabilità; e
di sera quando tornava a casa cadeva dalla
stanchezza e si addormentava, sognando di
svegliarsi in un altro mondo, nel mondo della
gioia e dell’amore.
Dopo cinque anni di
questa corsa verso la ricchezza all'improvviso
aveva sentito una tale insensatezza della sua
vita, una tale insoddisfazione, che nonostante
il denaro guadagnato, vendette la sua ditta. E
solo in quel momento si senti libero. E piano
piano comincio di riflettere su un problema
filosofico di tutti tempi e popoli. E quel
problema lui lo riassunse così: vale la pena di
vivere la vita о no? E alla fine dei conti penso
che vale la pena se nella vita c’è l’amore.
Dunque, decise di festeggiare e le chiese:
“Posso offrirle un po’ di spumante? Gino si
accorse sul suo viso della gioia fuggevole. Si
vedeva che era lieta che lui volesse continuare
la loro conoscenza.
Lei rispose:
“Preferisco un succo di frutta. Un inizio cosi
sfortunato lo fece sentire in imbarazzo. E di
nuovo fu assalito dei ricordi. E vero che nella
sua vita non c'era l'amore. E lui non sapeva
neanche cosa volesse dire l'amore. Nessuno lo
amava. Da bambino sognava di avere il papà. Il
papà con cui poter giocare, pescare,
passeggiare, parlare delle sue paure. I suoi
compagni adoravano i propri padri e tutti giorni
parlavano delle piccole avventure e dei giochi
allegri. Solo lui non aveva mai niente di
raccontare. Come gli mancava il papà.
Gino
invito la donna a sedersi al suo tavolo e per la
prima volta ebbe il coraggio di guardare per
qualche secondo nei suoi occhi. C'era qualcosa
che l'ipnotizzava, che l'incantava. Gino non
poteva capire cosa precisamente. Contemplando
nel profondo dei suoi occhi capi che da quel
momento un'altra vita lo aspettava. Una vita
nuova, una vita vera.
Rifletteva di che cosa
avrebbe potuto parlare con questa estranea. Non
voleva condurre discorsi superficiali, ma lui
voleva che lei restasse con lui almeno per una
mezz’ora. Cera qualcosa in lei che lo attirava e
lui voleva dividere con lei i suoi pensieri e le
sue emozioni. Però dubitava che lei sarebbe
stata interessata ad ascoltare il suo sfogo.
“Gino, sono venuta per te”, -
pronuncio lei con una voce magica.
“Che
cosa?” - Gino era imbarazzato, non sapeva come
reagire a queste parole.
Come faceva a sapere
il suo nome? Nella sua testa correvano i
frammenti dei pensieri e lui continuava a
guardarla con perplessità. Lentamente lei gli
prese la mano. Da tale intimità gli giro la
testa e chiuse gli occhi per un istante.
* * *
Nicola si guardava nello specchio e si
pettinava. Finalmente oggi lo aspettava un
attesissimo appuntamento con Sara. Da due
settimane gironzolava attorno a questa bella
ragazza. Per lui due settimane erano un'eternità
. Di solito nessuna donna poteva resistere al
suo fascino . Le donne stesse gli saltavano
addosso dopo due o tre giorni di conoscenza: era
galante, non molesto, allegro. Le donne si
illudevano di condurre il gioco ma era lui che
magnanimamente permetteva che rimanessero in
questo inganno. Sapeva che dopo qualche giorno
per lui la storia romantica sarebbe finita con
una strana stanchezza e piena sazietà,
sensazione che ultimamente provava dopo i suoi
rapporti intensi con le donne. All'inizio le
acute sensazioni dei primi appuntamenti lo
attraevano. Sembrava che fosse una persona
prediletta a cui era concesso di assaggiare
un'estasi infinita. Con il passar del tempo capi
che lo scenario delle sue avventure notturne si
ripeteva con una precisione terribile. E non
riusciva più a provare niente di nuovo. Questo
passatempo diventò per lui una routine noiosa e
seccante che non prometteva niente di
interessante .
Tuttavia non era abituato ad
essere respinto. Nonostante i suoi trentaquattro
anni era ugualmente spiritoso e irresistibile
come dieci anni prima quando per la prima volta
sali sul palcoscenico per fare il primo
spogliarello. Grazie al suo hobby della danza
classica aveva un fisico perfetto e si muoveva
aggraziatamente. Terminata la scuola fece gli
studi alla facoltà di filosofia per tre anni.
Dopo si mise a lavorare come agente commerciale.
I suoi genitori si interessavano poco della sua
vita, dato che non andavano d’accordo
assolutamente. Ogni tanto si arrabbiavano, poi
facevano la pace, ma lo stesso si irritavano di
continuo. Forse per questo a quattordici anni
Nicola si interessava di problemi psicologici e
leggeva Michele Montagne. Dopo passo ai libri di
Freud . Col passar del tempo accertò che alla
base delle azioni umane si trova 1'energia
sessuale. E ora applicava quella conoscenza con
successo nella propria vita.
Quindi durante
la sua adolescenza Nicola era riuscito a capire
molte cose da solo. Era intelligente e dopo due
anni di discoteche e serate con i compagni smise
di fumare e si preparo per gli esami
universitari. Meno male che aveva un amico con
la testa sulle spalle. Avevano fatto gli studi
insieme, anche se i soldi come sempre mancavano.
Una volta quel suo amico gli parlò di un
night club per donne. Gli disse anche che si
poteva guadagnare un bel po’ dei soldi con lo
spogliarello. Nicola ci rifletté, dato che i
soldi per lui rappresentavano la libertà.
Immaginò per un attimo il suo futuro come
spogliarellista ma alla fine dei conti lascio
perdere. E il giorno dopo si recò al direttore
di quel club. Fu fortunato. Per lo spettacolo
mancava una persona. E poi nel suo sguardo c’era
qualcosa di seducente, qualcosa di adatto per un
tale lavoro. E Nicola lo sapeva. Dopo una
settimana aveva già firmato il contratto e si
mise a comporre il suo programma individuale. Le
donne lo avevano accettato con entusiasmo.
Strillavano guardando la sua danza erotica.
Gridavano delle oscenità, gli dicevano
indecenze, lo palpavano quando lui ballava nella
sala.
Col tempo Nicola comincio ad odiare
queste donne affamate di sesso, i loro occhi
brillanti dall'eccitazione, le mani sudate, le
voci che gli davano sui nervi. Quante ne aveva
viste nel suo letto e ora quanta avversione gli
facevano! Dieci anni di esperienza come
spogliarellista non sono uno scherzo. All’inizio
lo attirava il denaro che gli elargivano per
ogni spettacolo, ed evitava i contatti diretti
con la clientela. All'epoca aveva una ragazza
che voleva sposare. Lei lo amava e lui lo
sapeva. Ma Nicola le nascondeva quel lavoro
vergognoso ma nello stesso tempo ben pagato.
E un giorno successe quello che doveva
succedere. Una signora di età avanzata gli
propose cinquecento euro per la notte. E lui non
poté resistere alla tentazione. Ormai i soldi lo
facevano ubriacare più del fisico femminile e
quello era solo l'inizio. II suo letto non si
raffreddava ancora dalla notte precedente che
una nuova ospite già bussava alla porta, e una
giostra infinita dei piaceri sessuali continuava
il suo ciclo. La sua ragazza, dopo aver saputo
dei divertimenti notturni del fidanzato,
dapprima non ci credette. II giorno che lei
venne nel club per vederlo con i propri occhi lo
spettacolo non c'era. Nicola era però nella sala
e, abbracciando con disinvoltura una bionda
cinquantenne, metteva in modo inequivocabile le
mani sotto la sua camicia. La scena non lasciava
nessun dubbio e la fidanzata lo lascio lo stesso
giorno.
Con il passar del tempo Nicola capi
che le donne avevano bisogno non solo del sesso
ma anche di calore umano, di un discorso
amichevole, della comprensione e che il contatto
fisico era quasi l'ultima cosa. Questi
particolari non lo interessavano più. Era
diventato cinico. Le donne si innamoravano di
lui e lui rideva, gli scrivevano i messaggi e
lui li buttava via, gli affidavano i segreti del
cuore e lui spettegolando li raccontava ai
camerieri. Sapeva della sua capacità di
attrazione e continuava ad usarla.
Soltanto Sara era diversa. Due settimane fa lei
era stata assunta come barista. Solo lei non
faceva caso al fascino di Nicola. E finalmente
oggi non aveva rinunciato al suo invito al
pranzo. Lui aveva deciso di portarla in uno dei
ristoranti francesi fuori città. Da due lunghe
settimane cercava di conquistarla ma non ci era
riuscito. Forse era solo perché ormai era
abituato ad avere a che fare solo con donne in
vendita.
Suona il cellulare. E' Sara. E'
successo qualcosa con la macchina e lei gli
chiede di andare a prenderla. Nicola corre a
rotta di collo verso casa sua. Finalmente oggi
questa ragazza permalosa sarà tra le sue
braccia. Non si può dire che gli piaccia da
morire, ma lo eccita soprattutto il fatto che
lei non fa caso alla sua lingua tagliente e al
fisico sexy, i sorrisi seducenti di un bell'uomo
che non conosce sconfitte non la influenzano.
Mette in moto la sua Ford. Non ha importanza,
prima о poi, lei sarà a letto con lui. Accelera
pregustando con quali occhi furbi lui l'avrebbe
guardata l'indomani. E tutto il personale
avrebbe capito che neanche lei aveva resistito
tanto e ormai si era aggiunta all'elenco della
collezione di vincite sessuali.
Meno male che
non c’è tanto traffico. Bordeggia abilmente tra
le macchine. Pochi minuti e la vedrà. Lasciata
la città alle spalle corre a briglia sciolta.
Suona il cellulare. Nicola ricorda di averlo
gettato sul sedile accanto insieme col
giubbotto. Senza guardare lui fruga nelle
tasche, ma non lo trova. II telefono continua a
squillare. Gira la testa e solleva il giubbotto.
II telefono è caduto giù dalle sue pieghe e
continua a squillare. Forse è di nuovo lei?
Raccoglie 1'apparecchio e mentre se lo porta
all'orecchio guarda la strada. Mamma mia! Da
dove è apparso questo bambino che ora si trova a
circa cinque metri davanti la macchina? Troppo
tardi per frenare. A destra si vede un fossato
profondo. Senza pensare bruscamente sterza a
sinistra. Sfortunatamente c'è una curva. Con la
coda dell'occhio lui si accorge che a grande
velocità procedeva verso un camion enorme. "Ho
fatto qualcosa di sbagliato" - era il suo ultimo
pensiero.
* * *
Gino riapri gli occhi. Era solo. II bar stava per chiudere ed i clienti se ne erano già andati. Sul tavolino due bicchieri di succo. E' possibile che abbia sognato tutto questo? E' possibile che ci fosse stata quella estranea? All'improvviso senti la sua voce dietro le spalle: "Ti abbiamo mostrato la tua vita precedente e in questa vita ne cogli i frutti". Lui si girò ma dietro non c’era nessuno…
VIAGGIO IN FRANCIA
piccolo romanzoLui era come tutti quanti. Aveva moglie, figli, casa e lavorava in una grande città. Ma era insoddisfatto: gli mancava la cosa più importante, l’amore. E quando l’amore non c’è, una persona non può essere felice. Un giorno gli chiesero: ”Vorresti rinascere un’altra volta?”. Lui rispose in modo categorico di no. Quella era la risposta di una persona infelice, solo la gente felice vuol essere immortale. Ma dopo gli avvenimenti che gli capitarono durante gli ultimi sette anni, sentiva che presto avrebbe scoperto il mistero della vita. Ancora uno sforzo, e il velo gli sarebbe sceso dagli occhi: sapeva già cosa bisognava fare.
VIAGGIO IN FRANCIA
piccolo romanzoLui era come tutti quanti. Aveva moglie,
figli, casa e lavorava in una grande città. Ma
era insoddisfatto: gli mancava la cosa più
importante, l’amore. E quando l’amore non c’è,
una persona non può essere felice. Un giorno gli
chiesero: ”Vorresti rinascere un’altra volta?”.
Lui rispose in modo categorico di no. Quella era
la risposta di una persona infelice, solo la
gente felice vuol essere immortale. Ma dopo gli
avvenimenti che gli capitarono durante gli
ultimi sette anni, sentiva che presto avrebbe
scoperto il mistero della vita. Ancora uno
sforzo, e il velo gli sarebbe sceso dagli occhi:
sapeva già cosa bisognava fare.
Qualche
anno fa Pino lasciò sua moglie. Aveva capito che
gli era divenuta assolutamente estranea, ma
continuarono a vivere assieme per abitudine. A
volte gli pareva che fosse tardi per cambiare
qualcosa. Da un bel po’ di tempo non avevano più
niente in comune, eccetto la figlia Lisa.
Questa, del resto, aveva ormai la sua vita piena
di passioni e divertimenti giovanili, e
preferiva non intromettersi nei rapporti tra i
genitori. Pino non ricordava nemmeno più da
quanti anni non si parlava né a pranzo né a
cena. Ciascuno faceva la propria vita: sua
moglie guardava la televisione e Pino fingeva di
navigare su internet. Mentre in realtà i suoi
pensieri vagavano nel lontano passato. Bisogna
ammettere che si sposarono solo perché lei era
rimasta incinta. Così la loro vita comune si
dovette solo alla stupida passione sessuale, che
volò via dopo appena un anno. Era da quasi
vent’anni che Pino pagava per quel attimo di
passione. Solo dopo lunghi anni di noioso
matrimonio, Pino comprese Tolstoj che
consigliava di non sposarsi mai.
Da
piccolo Pino sognava di diventare alto. Sua
madre gli faceva mangiare polenta d’avena tutti
i giorni. Lui odiava quella polenta, ma voleva
crescere e la mangiava. In prima elementare gli
diedero il soprannome di “Piccino”. Però, non si
sentiva inferiore agli altri e voleva
dimostrarlo a tutti i costi. Dopo un anno
diventò il primo della classe, ma questo non lo
consolò.
Compiuti nove anni, Pino capì che
la polenta non sarebbe stata più d’aiuto, e
venne iscritto in un istituto per bambini con
problemi di crescita. All’epoca le scuole del
genere andavano di moda. Il loro allenatore
parlava delle zone di crescita delle ossa e
della colonna vertebrale, le quali, tramite
specifici esercizi, potevano venir allungate.
Pino praticava quegli esercizi in modo fanatico
e passava la maggior parte del suo tempo tra
salti, stiramenti, sospensioni tese e
rovesciate. E davvero dopo un anno riuscì a
crescere di quattro centimetri e dopo due anni
di altri quattro. Ma cosa vogliono dire quei
pochi centimetri quando i tuoi coetanei sono più
alti di te di una testa intera? Così lasciò
quella scuola. I suoi amici crescevano e a lui
non rimase che rassegnarsi e accettarsi cosi
com’era: piccolo e triste.
Quando terminò
l’istituto commerciale dove nel frattempo fece
la conoscenza della sua futura moglie, diventò
ragioniere. Dopo la nascita di sua figlia Pino
si sentì padre di famiglia e questo gli diede
una certa sicurezza nella vita, ma lo stesso
continuò a vivere d’inerzia. Come vivevano molti
preoccupandosi solo del pane quotidiano e delle
proprie comodità, sicurezze e divertimenti.
All’inizio quando sua figlia era ancora di
tenera età, le preoccupazioni della vita gli
divoravano il tempo. Ma col passare degli anni
la vita domestica si stabilizzò.
Pino senti
il desiderio di qualcosa in più e cosi quando
sua figlia compì dodici anni, decise di andare
in Francia in vacanza. Da molto tempo desiderava
visitare Parigi e la famosa valle della Loira.
Pino amava molto la pittura, l’attiravano i
vecchi pittori della scuola francese.
Soprattutto adorava i paesaggi pittoreschi di
Poussaine, il cielo rosso e blu, i colori
smeraldini della natura, freschezza dei
sentimenti. Lo ispiravano i personaggi
mitologici, sentiva che qualcosa si svegliava
dentro di lui come se intorpidisse la sua anima.
Per quanto riguarda il fiume Loira e la sua
città classica del rinascimento, Pino si promise
fin da giovane di visitare quei vivi monumenti.
Quella mattina a Parigi faceva bel tempo.
Il loro albergo si trovava in centro nel
quartiere del giardino Tuileries. La prima cosa
che fecero dopo essere saliti nella loro camera,
fu d’uscire tutti assieme sul balcone. Quando si
viaggia sembra che il tempo si prolunghi e
qualche idillio perso rinasca. Il suo cuore
cominciò a battere più forte, quando vide la
torre Eiffel. Fu preso dalla sensazione statica
e inspiegabile di essere già stato qui. E fu
subito preso dal desiderio di rimanere da solo.
Dopo la colazione Pino disse:
“Vado a fare
una passeggiata…Voi intanto accomodatevi…”
“Secondo te, noi dovremmo rimanere in albergo?
“disse Anna. .
“Allora, noi facciamo un giro
per i negozi” disse Lisa. “E dopo pranzo andiamo
insieme a visitare il Louvre.”
“Buona idea”,
affermò Pino.
“Lisa, smetti di saltare e apri
le valigie!”, disse Anna in modo secco e
stringendo le labbra.
“Abbiamo dieci giorni
interi, mia cara, un sacco di tempo per fare ciò
che vuoi,“ replicò Pino.
Anna si
arrabbiava sempre, quando qualcuno non era
d’accordo con lei. Le piaceva comandare. Pino se
n’accorse già, quando lei era giovane. Ma se
durante i primi anni del matrimonio accettava
quel suo comportamento, scherzando e prendendo
tutto come un gioco, più tardi capì che per Anna
era proprio un chiodo fisso. Quando sua moglie
non riusciva a manipolare la gente si sentiva
male. Era completamente priva del senso
dell’humour e prendeva tutto sul serio. Aveva un
carattere possessivo e intollerante.
Passò
ancora qualche anno e Pino non ce la faceva
quasi più a vivere con lei. Tutte le sere la
moglie spiava lui e la loro figlia. Cercava il
pelo nell’uovo. La maggior parte delle sue frasi
iniziava con la particella negativa “no”.
Bisognava avere una gran pazienza per continuare
a vivere con lei. Però ora Pino aveva
un’immagine ben chiara del vampirismo
energetico. Sentiva che lei gli succhiava
inconsciamente l’energia vitale, facendo un
processo per ogni parola detta. Ora Pino aveva
capito che se lui si sarebbe arrabbiato,
l’avrebbe nutrita con la sua energia. In pratica
avrebbe fatto quello che voleva lei. Anna era
talmente angosciata senza queste risse
quotidiane che faceva addirittura pena. Pino
aveva compassione di lei, come di una persona
poco sana di mente.
Uscì dall’albergo.
Sulle vie parigine si respirava un senso di
libertà. Prese la riva sinistra del fiume. C’era
nell’atmosfera qualcosa di molto familiare. I
gabbiani volteggiavano sull’acqua. Tutto
sembrava roseo. Girò sulla via San Michele. Udì
mormorare in lingue straniere. Incredibilmente
ogni svincolo gli fu familiare. Ecco la stazione
Monparnas. Era tutto incomprensibile. Sentiva
intuitivamente che aveva già visto tutto questo.
Ma come poteva essere possibile?
Vagava come
nella nebbia tra le strade affollate, che lo
portarono sui Champs Elysees. Li gustò tutto il
fascino della capitale francese. Con la vista
appannata guardava auto costosissime andare
avanti e indietro, ristoranti di lusso che
richiamavano con le loro insegne. Luminose
boutiques alla moda che lo attiravano con le
loro vetrine colorate. E le donne eleganti,
belle e graziose, donne che conoscono il loro
valore, rilucendo come perle nella folla.
Proprio lì Pino sentì una decrescenza per questo
mondo spensierato. Erano passate quasi tre ore,
così fece ritorno all’albergo.
“ Papà noi
abbiamo già comprato un tour”, esclamò la
figlia, quando lui entrò nella camera. “Qui
nell’albergo c’è un’agenzia turistica”.
“Non
urlare come una pazza”, disse Anna provandosi un
cappellino davanti allo specchio.
“Dove
andiamo?“ s’interessò Pino, aprendo il
minibar.
“Non toccare niente, qui costa tutto
un occhio della testa”, reagì subito la moglie.
Lisa tirò fuori da una borsa di plastica una
bottiglietta d’acqua e la diede al padre.
“Dopodomani partiamo per una gita di due giorni.
Visitiamo i castelli medioevali di Orleans e
Bloix. Che ne dici?”
“Che brave donne! A che
ora si parte?”
“Alle sette di mattina. Si
viaggia in pullman”.
Pino si mise in poltrona
e schiacciò il pulsante del telecomando. Si
ricordava abbastanza bene la lingua francese che
all’epoca aveva studiato a scuola. Trasmettevano
uno show di varietà. Si rese conto che
comprendeva quasi tutto. Anna si sdraiò sul
letto matrimoniale e si mise a sfogliare una
rivista per donne. Guardando spesso l’orologio
in un modo nervoso. Lei si sentiva sola e
abbandonata. Come si sa la solitudine più
insopportabile si sente, quando ti trovi in
compagnia della gente. Dopo dieci minuti lei non
ce la fece più e domandò nevrotica:
“Non ti
sei ancora stancato di guardare queste
sciocchezze? Andiamo a pranzare?”
“Con
piacere”.
Pino fece l’occhiolino a Lisa,
spense la tv e si alzò. Non gli andava di fare
discussioni.
“Allora, care le mie donne, che
programma abbiamo?”
“Prima il pranzo e dopo
il Louvre,” gridò Lisa e si mise a saltare di
gioia.
Lei odiava, quando i genitori
litigavano.
“Non saltare come una pazza”,
reagì Anna con l’aria scontenta.
Mangiarono nel ristorante dell’albergo. Poi
decisero di camminare sul lungo fiume della
Senna. Sembrava una famiglia felice che
passeggiava tranquillamente. Una famiglia da
invidiare. Da fuori, le cose non sono quasi mai
come sembrano. Nessuno può leggere nel cuore dei
passanti e capire cosa succede veramente nel
profondo della loro anima. La gente ha imparato
a portare le maschere per coprire i loro veri
sentimenti.
Ecco che davanti a loro, in tutta
la sua bellezza stese le ali il Louvre. Il più
bel museo della Francia che colpisce per la sua
grandezza. Si misero in fila.
“Papà che dici
se vado a comprare una guida turistica?
Altrimenti ci perdiamo…” disse l’instancabile
figlia.
“Ma, non ci serve… Che senso ha
spendere del denaro”, brontolò Anna.
“Tieni”,
disse Pino allungando una banconota a Lisa.
E aggiunse guardando Anna tranquillamente:
“Qui ci sono sei direzioni. E siccome è la prima
volta che siamo qui, ci serve una cartina”.
Anna si accigliò. La pregustazione dell’incontro
con i tesori dell’arte mondiale non migliorò il
suo stato d’animo. Nel frattempo lei faceva i
conti, pensava a quanto c’era da spendere
ancora.
E più tardi quando si trovarono
davanti al quadro di Leonardo da Vinci, lei
osservava invidiosamente, abiti eleganti ed i
gioielli costosissimi. Per lei l’arte non
esisteva. Nella sua anima pulsavano le
vibrazioni della scontentezza di se stessa che
gli soffocavano tutte le cose belle della vita.
“ Papà perché la Gioconda sorride in quel modo?”
chiese Lisa con vivacità incredibile.
“In che
modo?”
“Come se conoscesse qualche mistero?”
“ Il mistero dell’amore, per esempio”. Pino
espresse quel pensiero che aveva da tempo.
“Secondo te nell’amore c’è un mistero?”
“
L’amore per se stesso è un mistero. Un mistero
silenzioso”, aggiunse Pino
“Boh…”.
“Guarda il paesaggio. Assomiglia molto a quello
lunare”.
“E allora…”
“ Mi sembra che sia
un’allusione”.
“In che senso?“, insisteva
Lisa.
“Per esempio, le persone umane sono i
figli della luna… Essa spesso influisce sul loro
stato d’animo…”.
“Non dire sciocchezze”,
esclamò Anna.
Per tutta la giornata
ammirarono i capolavori del museo. Per un po’ si
fermarono nella galleria grande dove Pino, restò
incantato davanti ai personaggi mitologici di
Poussaine. Davanti alle sue stagioni della vita
umana, davanti all’eccellenza delle immagini di
Orfeo e Euridice, e si fermò anche davanti ai
“Pastori di Arcadia”.
“Che quadro squallido”,
borbottò Anna.
“Papà, che cosa c’è scritto
sulla tomba?”, chiese la figlia, prendendo Pino
per mano.
“C’è scritto “Anch’io vissi in
Arcadia”.
“È per questo motivo che i pastori
sono così tristi?”
“Certamente, questa
scritta li aveva rattristati. I pastori avevano
capito che tutto prima o poi avrà una fine”.
Nel frattempo la figlia si era già distratta,
guardava un gruppo di giapponesi che scattavano
foto ininterrottamente. È vero che alla sua età
la vita sembra eterna, pensò Pino. Ed in quel
momento sentì una voce da dietro le spalle:
“Anch’io vissi in Arcadia”.
Pino pensò che
qualcuno stesse leggendo la scritta sul quadro.
Si girò e vide un signore ben vestito e con gli
occhiali che lo guardava pensieroso. Le sue
parole erano rivolte senza dubbio a Pino, visto
che lì vicino non c’era più nessuno.
“Scusi,
come ha detto?”, chiese Pino con imbarazzo.
“La tolleranza è la chiave di tutte le porte”,
disse l’estraneo e s’inchinò.
Pino si guardò
in giro cerando la moglie e la figlia, che nel
frattempo si erano già allontanate di parecchio.
Di nuovo guardò quel signore, il quale gli
sorrise e sussurrò:
“La meditazione è la
chiave del cuore”.
Pino, imbarazzato,
pensava: “Cosa vorrà mai questo tizio?”
All’improvviso quel signore gli fece
l’occhiolino e se ne andò via.
“Papà, papà
dove sei”, chiamò la figlia da lontano.
“Arrivo! Dove si va ora?”
“ Alla sala
egiziana!”
“Perfetto”.
Si ricordò che
all’età della figlia anche lui s’interessava
molto all’antico Egitto. Ma qualche cosa dentro
di lui gli sussurrava che i faraoni sapevano più
di quanto lasciarono detto per iscritto. C’era
un ineffabile mistero nel loro culto.
Camminarono tra sculture, bassorilievi e statue.
Pino pensava a quello strano tipo e alle sue
parole. Che cosa era stato? Un segno del
destino? Mai nella sua vita aveva sentito
parlare della meditazione.
Il giorno dopo la
famiglia si recò, come da programma, nella valle
della Loira, famosa per i suoi giardini
meravigliosi. Quanti libri Pino aveva letto su
questo paese e sui suoi castelli! Il suo
interesse inspiegabile sbalordiva Anna, che
nella vita si occupava solo delle cose
materiali. Pino intuiva che durante questi
giorni avrebbe potuto accadere qualcosa
d’insolito.
Il programma del viaggio
era molto ricco. Arrivarono solo a mezzogiorno
ad Orléans. Dopo aver fatto un giretto al centro
storico si fermarono a mangiare sulla via Reale
vicino alla piazza. Dopo pranzo il gruppo di
turisti risalì sul pullman, pregustando
l’interessante escursione. Pino si mise vicino
alla figlia, le fece vedere un monumento e le
chiese:
“Sai cos’è quello?”
“Giovanna
d’Arco, vergine di Orléans” , rispose Lisa fiera
della sua conoscenza. “Ha liberato la città
dall’assedio”.
“Brava! E che assedio era?”
Anna si girò brontolando:
“Lasciala in pace.
Siamo in vacanza!”
“Lo so, lo so!”, esclamò
Lisa. “È stato durante la guerra con
l’Inghilterra”.
La guida turistica accese il
microfono. Pino si ricordò che aveva letto un
libro su Giovanna d’Arco. Lei, diciannovenne,
scrisse una lettera al Re di Francia in cui
chiedeva di poter capeggiare il popolo per
salvare la città. Il Re credette nelle sue
capacità e le affidò anche l’esercito per la
missione. Ma anche il popolo confidava che
Giovanna li avrebbe salvati. In ogni caso era
una storia mistica.
L’ambiente verde
chiaro tranquillizzava, mentre la voce della
guida faceva addormentare. Così Pino sprofondò
nei propri pensieri. Davanti al suo sguardo
passavano palazzi, chiese e guglie. E lui,
ascoltando il proprio cuore, si sentiva come se
fosse tornato nel proprio passato. Il paesaggio
era così famigliare. Dopo aver visitato il museo
delle belle arti cenarono in un ristorante
tipico, poi fecero ritorno alla camera
d’albergo.
Il giorno dopo, scendendo lungo la
Loira verso Bloix, il pullman passava davanti a
paesaggi pittoreschi. Tigli, abeti scuri e
castagni rosa si riflettevano nel fiume e davano
alla gita una sensazione trascendentale. I
turisti tacevano, colpiti dalla bellezza di quei
parchi magici, ricoperti di margherite e
gelsomini. Ed era impressionante anche la
grandezza di quei palazzi, ricoperti d’edera
blu.
“Signori”, disse allegramente la guida
turistica, “Ci stiamo avvicinando alla periferia
di Bloix. Oggi visiteremo quattro castelli. Però
all'una ci sarà la pausa pranzo.
Passeggiarono per i viali ombrosi dei castelli,
ammirando i loro giardini eleganti e
meravigliosi, con rose stupende e magnolie in
fiore, scrutando le meravigliose vedute del
grande fiume francese. Pino sentiva scorrere
qualcosa dentro di se, sentiva come se nel suo
corpo rinascesse un'energia interna.
L'escursione stava volgendo al termine e mancava
solamente un'altra tappa. Passando attraverso un
incantevole parco con aiuole colorate, si
fermarono vicino alle mura di un palazzo. Scesi
dal pullman si raccolsero tutti attorno alla
guida che continuava a parlare del Rinascimento
francese. Pino si allontanò e non ascoltò quasi
nulla. Poi appena entrò nel palazzo sentì un
odore famigliare, qualcosa toccò la sua memoria
e fu assalito da una miriade di ricordi appena
percettibili. Guardava i tappeti olandesi, i
mobili medioevali, gli specchi antichi e sentiva
stringersi il cuore. Qualcosa aleggiava
nell'atmosfera di quel castello, qualcosa che
lui conosceva molto bene.
Mentre il gruppo
continuava lentamente a visitare il pianterreno,
Pino rimase ad osservare lo scalone con sculture
graziose e quadri enormi. Erano i ritratti della
famiglia di corte. Rimase colpito da uno
splendido quadro bordato da una cornice d'oro,
vi era raffigurata una bella donna e Pino ne
rimase ipnotizzato. Quante volte l'aveva sognata
senza sapere chi fosse, ed ora, all'improvviso,
questo ritratto.
Pino sentì che si stava
avvicinando alla comprensione del suo sogno.
Proprio mentre la voce della guida, pian piano
si allontanava, ebbe un leggero capogiro. L'aria
intorno a lui diventò più densa e di colpo tutto
l'ambiente cambiò, i turisti sparirono, il
castello resuscitò. Sentì sbattere il portone,
rumori confusi, voci, lo scalpitio degli zoccoli
di cavalli trainanti una carrozza. Intorno a lui
i servitori andavano e venivano inchinandosi
cerimoniosamente quando incrociavano la sua
strada, tutti si affaccendavano, evidentemente
si stava preparando una grande festa. Si aprì
rumorosamente la porta principale e la signora
entrò nel castello. Era proprio lei! La donna
raffigurata nel quadro apparve nella realtà ed
entrò maestosamente. Lei gli rivolse subito la
parola e lui capì immediatamente che era tornato
nel passato: quello era il suo castello con
tutta la servitù.
Quando riacquistò i
sensi, Pino era stato adagiato su una poltrona e
lo stavano scuotendo per le spalle. Quanto tempo
era passato?
“Come stai papà?” chiese Lisa
preoccupata.
“Certo che a lei l'arte francese
suscita una grande impressione”, disse la guida.
“E caduto come in trance d'avanti a quel
dipinto… A dire la verità il ritratto è capace
di trasmettere impressioni davvero forti. E
spettacolare!”
Pino taceva, colpito da quel
viaggio nel passato. Ma come poteva essere
accaduto? Che cosa significava? Fu un'esperienza
sbalorditiva.
Per tutto il viaggio di
ritorno non proferì parola. Anna lo guardava
sconcertata tamburellando le dita sulla borsa.
Era successo qualcosa a cui lei non riusciva a
dare una spiegazione e quindi non poteva nemmeno
rimuginarci sopra. Lisa s’addormentò subito, era
esausta per tutte le emozioni della lunga
giornata. Anche Pino, quando arrivò in hotel,
saltò la cena e si mise subito a letto. Per
l'ennesima volta i suoi pensieri tornarono al
castello. Si poneva sempre la stessa domanda,
che cosa significa? Ma la risposta non c'era.
Quella notte fece uno strano sogno.
Dormiva nel proprio letto in una posizione
scomodissima, voleva alzarsi, però non poteva.
Poi fece uno sforzo, si staccò dal letto e
all'improvviso vide che il suo corpo era rimasto
là e lui invece era in piedi, di fianco, che lo
guardava.
Il giorno dopo la famiglia ritornò
a Parigi. Furono altri quattro giorni d’infiniti
piaceri parigini. Girarono per la città
visitando musei, mostre e caffetterie. Il giorno
dopo sua figlia scorrazzava allegramente senza
accorgersi del cambiamento dello stato d'animo
di suo padre. Mentre la moglie lo guardava con
diffidenza e non riusciva a comprendere il suo
silenzio. Pino era continuamente assorto nei
suoi pensieri. L'avvenimento del castello non lo
lasciava in pace un solo istante. Da quel
momento la sua vita aveva acquistato un'altra
qualità. Tuttavia decise di non raccontare a
nessuno di quel’evento inspiegabile. Lui stesso
non avrebbe creduto ad una storia del genere.
Quando ritornarono a casa, Pino si
sentì come sotto ipnosi. Riviveva spesso quello
strano avvenimento e ogni volta scopriva
qualcosa di nuovo. Voleva capire cosa gli stava
accadendo. Ora, leggendo i giornali, faceva più
attenzione alle storie in cui le persone
vivevano un fenomeno simile. Prima considerava
come fantasie questa sorta di passaggi in buchi
temporali. Continuando a fare ricerche in
Internet, trovò la storia riguardante il
castello ed i suoi abitanti. Venne così a sapere
che il conte aveva fama di persona imperiosa,
crudele e sofferente di manie di grandezza. Pino
capì che lui e il conte erano la stessa persona.
Com'era possibile? Allora l'anima del conte ora
riviveva dentro al suo corpo? Era del tutto
incredibile.
La vita andava avanti. Era
ormai stanco della presenza di Anna, non ce la
faceva più. Avrebbe voluto andare a divertirsi
con gli amici, però non ci riusciva più. Si
facevano sempre gli stessi discorsi, i soliti
pettegolezzi e spesso si ricreavano le stesse
situazioni. Ricordò le parole di un filosofo:
quando una persona vuole uscire con gli amici,
spesso è perché non può sopportare di stare da
sola con se stessa. Quando uno è insoddisfatto
della propria compagnia, va a cercare qualcuno
con cui parlare. Succede spesso che sia più
facile sopportare un altro, nonostante i suoi
difetti, che sopportare se stessi.
Fu allora
che Pino iniziò a non avere più paura della
solitudine. Voleva entrare nel profondo della
propria anima. Un giorno lesse che il carattere
di una persona si formava in seguito agli
avvenimenti che accadono nei primi quattordici
anni di vita. Così un adolescente crea nella
propria mente un mondo immaginario e decide da
solo che cosa è la vita e come rapportarsi con
la gente. Poi per tutta la vita gode i frutti
del proprio comportamento.
Finito di
lavorare, Pino non voleva rientrare in casa ed
errava per le vie ricoperte di foglie gialle,
continuava a brancolare nel buio del passato. I
suoi genitori erano proprietari di una pizzeria,
ci andava sempre dopo la scuola, si sedeva in un
angolo della cucina per non disturbare il cuoco.
Gli piaceva come preparava abilmente la pizza ed
altri piatti. Così da bambino, osservando il
cuoco, imparò a cucinare molte cose. A dodici
anni cominciò a fare l'aiuto cuoco. Da quel
giorno, a casa, cucinava sempre lui. E quando
qualcuno andava a trovarlo cercava di fare del
suo meglio. I suoi amici profetizzarono per lui
una gran carriera nella ristorazione. Ma la
fortuna volle diversamente.
Pino andò in
una libreria. A quel ora c'era poca gente. Si
fermò davanti al reparto dell’esoterismo.
Guardava distrattamente i titoli: "Yoga",
"Lezioni di zen e buddismo", "Meditazione e
Taoismo". La mistica era entrata nella sua vita
e secondo lui era arrivato il momento giusto per
leggere qualcosa d’adatto. Sfogliava le pagine e
prendeva un libro dopo l'altro. Cercava qualcosa
che fosse sulla stessa onda della sua anima e
all'improvviso lesse una frase che lo colpì: "La
meditazione può creare una situazione in cui è
possibile entrare in un mondo sconosciuto". Era
destinato ad entrare proprio in quel mondo.
C'era già stato in Francia. Così decise
d’acquistare quel libro.
Passarono sei
anni, ma non più in automatico come i
precedenti. Al contrario, erano anni di
ricerche, di nuove sensazioni e nuove scoperte
sorprendenti. S’inebriava dei libri di Osho.
Sentiva che le fibre della sua anima finalmente
venivano toccate da qualcosa di autentico.
Sentiva di essere finalmente sulla strada
giusta. Qualcosa di sovrannaturale entrò nella
sua vita. Cominciò a dipingere quadri bizzarri.
A volte poteva sentire qualcosa come una
soddisfazione totale in tutto quello che faceva.
Era una sensazione bellissima il non doversi per
forza precipitare da nessuna parte. Durante quei
rari momenti Pino si sentiva libero come avrebbe
sempre voluto. Circondato dal silenzio e dalla
tranquillità, in quei momenti una letizia
sottile lo penetrava. Era una gioia simile alla
fragranza di una rosa fresca.
Una volta
la sua ditta diede una serata. Il vecchio amico
di Pino si trasferiva alla Costa Azzurra e parlò
di una signora nobile che cercava un cuoco che
s’intendesse di piatti esotici. Di colpo Pino
sentì delle fitte nel plesso solare. Qualcosa
nel subconscio gli annunciava che era la sua
chance. Una chance per lasciare la routine dei
giorni monotoni. Telefonò. Rispose il segretario
dicendo che la signora sarebbe stata assente per
qualche settimana.
Pino capì che era giunto
il momento della svolta nella sua vita. E
continuava a praticare la meditazione dinamica.
Sapeva bene una cosa: finché non si riesce a
buttare fuori tutta la negatività del passato,
finché non si ripulisce la propria psiche dal
veleno dell’odio, non sarà possibile godere la
vita. L'attesa di un mese gli sembro
un’eternità. Ma, si sa, tutto ciò che inizia
prima o poi deve finire. A fine settembre Pino
telefonò ancora. Questa volta il segretario gli
disse di attendere in linea. I minuti erano
lunghi e Pino pensò che nemmeno quella volta
sarebbe stato fortunato. Pero’ dopo un po’ una
voce di velluto rispose:
“Con chi ho l’onore
di parlare?”
“Sono Pino, un amico di un suo
conoscente. Ho saputo che lei cerca un cuoco.
Così ho deciso di proporle la mia candidatura”.
“Perfetto. Mi spedisca delle lettere
raccomandate con il curriculum. Vuole scriversi
l'indirizzo?”
Dopo una settimana Pino spedì
la busta in Francia. Il suo sesto senso gli
diceva che ci sarebbe andato. Era sicuro che lì
avrebbe fatto un’importante scoperta. Avrebbe
scoperto un mistero della sua vita.
Passato un mese, il telefono taceva. Pino decise
di aspettare. Non voleva sembrare importuno.
Però il tempo per lui si fermò. Decise di
lasciare il suo lavoro e lo fece. Così suscitò
lo sdegno di sua moglie. Le annunciò che
probabilmente sarebbe partito per qualche mese.
Non voleva dire per qualche anno, ma ne era
sicuro. Non voleva parlare neppure del divorzio
per non traumatizzare quella donna con i nervi
sempre tesi. Non desiderava nient'altro che
cambiare la propria vita e scappare da quella
palude che l'aveva quasi inghiottito. Decise di
regalare metà dei risparmi alla moglie. Almeno
così Anna avrebbe preso meglio la sua decisione
d’andarsene. Per quanto riguardava sua figlia,
Pino non si preoccupava: ormai era una
studentessa e si era già fidanzata. Poi aveva
tanti buoni amici.
Ora, tutti i giorni Pino
passeggiava sul lungomare. Ammirava l'acqua
azzurra e le nuvole bianche. Rifletteva su una
frase appena letta: "Soltanto una persona che è
capace di vivere da sola acquisisce la capacità
di amare”. Chi non è capace di stare da solo non
è assolutamente in grado di amare. Scoprì una
cosa importante: che se una persona ha bisogno
di un altro, a quel punto l’altro non potrà
essere libero. Se dai la libertà al tuo amato,
devi affrontare la solitudine del vivere
quotidiano. È inevitabile, ma nessuno deve
appartenere all'altro. Ognuno appartiene solo a
se stesso.
Pino si mise a leggere
poesie. Si sedeva su una panchina nel parco
centrale con un libro di Verlaine in mano. E lo
leggeva e rileggeva. I suoi versi assomigliavano
alla poesia di una mente illuminata. S’immergeva
in suoni, immagini, sensazioni sottili.
Alla
fine si fece coraggio e chiamò per la terza
volta. Il segretario rispose con voce seccata
dicendo che la signora era partita per la
Thailandia e ci sarebbe rimasta fino a dicembre.
Pino riattaccò deluso.
Da qualche parte c'é
una vita diversa, una vita scintillante ed
appassionante: viaggi, divertimenti, culture
nuove. Pino non avendo mai visitato l’Asia aveva
un'immagine confusa della vita all'Est. Sapeva
solo che la Thailandia era un paese di buddisti.
All'epoca leggeva la dottrina Buddista, ma non
riusciva a capire come si potesse rinunciare a
tutti i desideri. Intorno a lui c'erano sempre
molte tentazioni. Voleva assaggiare tutto,
vedere tutto, sapere tutto, provare tutto.
Passarono quattro mesi dal suo primo contatto
con la signora, e a questo punto stava perdendo
la speranza. Alla vigilia di Natale la signora
telefonò e disse senza tanti preamboli:
“Buongiorno, Pino! Allora lei può venire! Ho
esaminato tanti documenti e ho scelto proprio
lei”.
E dopo una breve pausa agiunse: “A dir
il vero non so nemmeno io il perché. Volendo può
iniziare il suo lavoro partendo dalla prossima
settimana”.
“La ringrazio”, disse Pino tutto
felice. “Arriverò questa domenica“.
“La sua
stanza è già pronta, può venire anche prima.
Così potrà conoscere la servitù e la casa.
L’aspetto. Arrivederci”.
“Grazie.
Arrivederci”, disse Pino e riagganciò.
Una
gioia ignota lo riempì. Qualcosa iniziava a
cambiare, pensò, e si calmò definitivamente.
Aveva sistemato tutti i suoi affari già da un
pezzo.
La sera stessa chiamò la figlia
e le parlò della sua partenza. Disse che voleva
salutarla.
Quando s’incontrarono Pino
l'abbracciò:
“Ciao, piccola! Come va?”
“Va sempre avanti”.
“Cosa fai di bello?”
“Studio e scrivo, scrivo e studio...”
“Che
cosa stai scrivendo? “
“Una tesi di
psicologia… E tu invece, sei in partenza?”
“Ho deciso di cambiare la mia vita ... Parto per
la Francia dove farò il cuoco”.
“Pensa te…
Capisco… A dir la verità mi sorprendeva il tuo
rapporto con la mamma. Non so come riuscivi a
sopportare tutte le scenate che ti faceva…”.
“Ho vissuto con lei solo per te. Non ho voluto
che mia figlia crescesse senza il papà. E sai,
mi ero abituato così bene che dopo qualche anno
non reagivo più a nessuna sua provocazione”.
“Ho pensato molto a voi due… E mi sembra d’aver
capito perché la mamma si comportava così”.
“Sul serio? “
“Ti ricordi che studio
psicologia? Di certo non sono ancora una
professionista… Ma secondo me i suoi genitori la
trattavano male… Come se non fosse mai stata
amata da loro. E come si può amare, se non sai
cosa vuol dire l'amore?”
“Direi che hai
descritto perfettamente i rapporti nella sua
famiglia…”
“Quindi la mamma si comporta così
perché non conosceva né dolcezza né tenerezza”.
“Penso proprio di sì, comunque non fa altro che
imitare sua madre”.
“Cosa intendi?”
“
Vedi che fino ad oggi lei ripete le stesse
frasi… Si sdegna per gli stessi motivi… Si
irrita per le stesse piccolezze…”.
Pino
pensò che una persona fa la guerra con gli altri
solo perché non vuole combattere con i propri
difetti e vizi. Certo, quando una persona è
insoddisfatta della propria vita, pian piano
comincia a proiettare questa sua scontentezza
sugli altri. Inizia a provare aggressività verso
tutto il mondo.
“Comunque, c’é un detto: se
coltivi qualche abitudine, col tempo diventa un
particolare del tuo carattere”, disse Lisa.
“Senza dubbio. Ma ora parlami un po’ di te...”
“Ho gia detto…Continuo a studiare
psicologia. Mi piace... In questo momento stiamo
seguendo un corso sulle teorie di Freud. Così
sto imparando la psicoanalisi. Non ho un’idea
ben precisa del significato… Ma in breve è la
rivelazione dei pensieri nascosti nel
subconscio.
“Non e' molto chiaro.”
“Insomma, a causa di questi pensieri, una
persona comincia a provare diverse paure senza
sapere il perché.”
“Non e’ molto semplice… E
come va con il tuo fidanzato?”
“Sembra che
mi ami. “
“E tu? “
“Per il momento non
parlerei dell'amore, ma è un ragazzo in gamba”.
Così chiacchierando, passeggiavano di sera
per la città. Quando si lasciarono le regalò un
libretto al portatore con una considerevole
somma di denaro: voleva garantire alla figlia
una vita dignitosa. Secondo la sua esperienza
ricordava com’era importante alternare lavoro
mentale con divertimenti, lezioni intense con
riposo attivo. Così non ci si stanca mai di
studiare. Pino le promise di chiamarla spesso.
Nonostante la moglie fosse pronta per
la sua partenza, osservando la meticolosità con
cui Pino preparava le valigie, gli fece una
scenata. Poteva sembrare assurdo, ma quella
volta fu un attacco di gelosia. Anna pensava che
lui la stesse lasciando per un'altra. Sopportare
un pensiero del genere sarebbe stato difficile
per qualsiasi donna.
“Mi ricordo com’eri
impaziente di partire per la Francia”, cominciò
velenosamente.
Pino ascoltava in silenzio.
Capiva che sua moglie era accecata da pensieri
negativi e non ne poteva esimersi. Se una
persona ripete sempre le stesse parole, gira e
rigira gli stessi pensieri, alla fine ne diventa
schiava. Tale modo di pensare diventa
un'ossessione.
“Passeggio da solo…. Esco da
solo”, gli urlava. “Com’ero stupida allora
... Non ho capito che c'era una donna di mezzo”.
“Per certi versi hai ragione”, osservò lui
con un leggero sorriso.
“Certo che ho
ragione ... Come no ... Lui scopriva Parigi da
solo ... Ma chi ti crede ... Sei un maniaco!”,
continuò Anna con un tono bilioso.
“Ascolta…
Almeno l'ultima giornata la potremmo passare in
pace?”, chiese stancamente Pino.
“Non
impormi la tua volontà”, sbuffò lei. “So da sola
come passare le mie giornate. Se vai da una
donna puoi anche dirmelo”.
Pino non voleva
litigare. Sua moglie gli faceva pena. Il suo
sospetto mostruoso stava diventava una vera
paranoia. Come si può continuare a discutere con
una persona malata? Fatta la valigia le disse:
“Ecco l'estratto del tuo nuovo conto
corrente. Ho messo su un po’ di soldi”. Le diede
il documento.
Dopo aver sentito del denaro,
Anna si calmò. E dopo aver studiato l'estratto,
accennò addirittura a un sorriso.
“Che dici
se andassimo al ristorante? Così almeno ci
salutiamo da amici”, chiese gentilmente Pino.
“Perché buttare i soldi al vento?”,
s’indegno lei cambiando espressione.
“Ti ho
invitata. Significa che pago io.”
“Se sei
pieno di soldi, meglio comprarmi un paio di
scarpe”.
Pino non rispose. Come sempre tutte
le sue buone intenzioni finiscono con la rabbia
di Anna.
Uscì da solo e fece una passeggiata
per la città, da cui non si era mai era
separato.
Salì sul treno e chiuse gli
occhi. Finalmente si parte. Quarantotto anni
dietro le spalle. Lesse da qualche parte che i
primi quaranta anni costituiscono il testo della
vita, e tutti gli altri sono il commentario. Ed
ecco il suo commentario usciva su un giro nuovo.
Ricordò la dottrina di Yung, che dopo quaranta
anni la vita del cuore cambia. L'interesse verso
molte cose si scolorisce. Le preoccupazioni
precedenti non interessano più. E si comincia la
revisione di tutto quello che è stato fatto.
La persona si allontana dal mondo esterno e si
rivolge alla vita della propria anima: comincia
a cercare qualcosa di stabile dentro se stessa.
La ricerca che Pino aveva iniziato ormai da
molto tempo lo portò a comprendere che qualsiasi
cosa lui facesse rimaneva sempre insoddisfatto.
E questo lo spingeva a continuare la ricerca. Si
diceva sempre: “Non è ancora la vita vera. È
soltanto la preparazione per la vita”. La cosa
più importante era ancora a lui sconosciuta. Ma
che cos’era quella cosa importante che lui non
sapeva? Cercava e cercava senza stancarsi.
Pino capì di avere un’anima, la sentiva quando
leggeva poesie emozionanti. Oppure quando
guardava qualche film in cui l'eroe esprimeva
sinceramente i propri sentimenti. Qualcosa si
stringeva dentro di lui e lo commoveva, quando
assisteva a momenti di vera bontà e compassione.
A volte addirittura si sentiva il nodo alla
gola.
L'autista lo venne a prendere.
Chiacchierò ininterrottamente per tutta la
strada, parlando delle notizie locali e del
cuoco che prima lavorava per la signora e di
tanti altri pettegolezzi.
“Da quanto tempo
lavora qui, lei?” chiese Pino.
“Da quasi
dodici anni. La padrona è buona e paga bene”.
“E suo marito? “
“Purtroppo è morto
qualche anno fa. Era un pittore di talento. Ma
non gli piaceva stare in compagnia. Si chiudeva
nel suo studio e non usciva per giornate intere.
Però a casa c'erano sempre tanti ospiti. In ogni
caso era una persona autosufficiente”.
Dopo
un’ora agitò la mano in avanti e disse:
“Ecco, siamo arrivati”.
La villa
colpiva per sua magnificenza. Era circondata da
siepi coperte d'edera. Il parco ombroso
nascondeva, dietro a un denso fogliame,
magnifici giardini colorati e statue di marmo.
Davanti all’ingresso si trovavano fragili
figurine degli angeli. L'autista lo accompagnò
in un salotto comodo e spazioso. Antichi tappeti
erano appesi alle pareti. Nel camino
scoppiettava la legna. Pino aspettava l'incontro
con la padrona con una leggera ansia. Dalla
prima impressione dipende tanto. Guardando i
tappeti non si accorse quando entrò la signora.
“Buongiorno, Pino”. Lo chiamò con voce
morbida.
Si girò. In un primo momento il suo
sguardo fu attratto dal suo vestito lussuoso
color smeraldo. Ma quando lei fece qualche passo
in avanti ed i loro sguardi s’incrocirono, il
suo cuore si mise a battere velocemente. Era
lei. Non poteva non riconoscerla. Era quella
donna che Pino sognava spesso. Faticosamente
riuscì a contenere il suo stupore e le diede la
mano:
“ Buongiorno, Françoise”.
“Ben
arrivato a casa”, disse lei sorridendo. E gli
strinse la mano.
Che cosa? Questa frase lo
fece vibrare di felicità sin dentro al profondo
della sua anima. Pino la guardò negli occhi e
sentì come se nel plesso solare qualcosa
sobbalzò. Capiva che non poteva raccontarle i
suoi sogni, di certo non gli avrebbe creduto. Il
suo intuito gli diceva che il destino lo aveva
preparato per questo incontro da tutta la vita.
“Molto lieto di conoscerla”. A parte questa
frase banale non riuscì a dire nient’altro.
“Lei e' impallidito ... Come sta? Forse è la
stanchezza?”
“No, non si preoccupi. È solo
una debolezza momentanea”, rispose lui con la
voce sussultante.
Françoise lo guardò
intensamente, diventò pensierosa e disse:
“Ho l’impressione di conoscerla da tanto tempo”.
Pino fu stupito dalle sue parole, ma non
disse nulla. Sentì che a partire da questi primi
minuti della loro conoscenza, si era stabilito
un legame sconosciuto. I suoi occhi emanavano
una lieve gioia, e la sua presenza gli faceva
sentire le vibrazioni della pace. In quel
momento entrò un giovanotto.
“Va bene, il
mio aiutante Carlo l’accompagnerà alla sua
stanza ... S'accomodi pure”.
“Grazie, ci
vediamo più tardi”, mormorò Pino seguendo il
giovanotto.
Fu per lui l’inizio di una
nuova vita. Ora passava molto tempo in cucina a
preparare i piatti. Voleva mostrare il suo
talento culinario nei diversi campi della
gastronomia. E ci riuscì.
Aveva pochi
contatti. Parlava principalmente con Carlo e con
il suo aiuto cuoco. Il segretario gli comunicava
il numero degli ospiti, le tradizioni di casa, i
gusti di Françoise. Era un giovanotto molto
amichevole e qualche volta prendevano il caffè
insieme. A volte incontrava la signora nei
corridoi, ma non aveva coraggio di attaccare
discorso. Non sapeva perché, ma si vergognava.
Cosi passava molto tempo da solo. Se, però,
cinque anni fa quando rimaneva da solo si
sentiva vuoto, si sentiva proprio una nullità,
poco alla volta quella solitudine cominciò a
riempirsi. Capì che quel vuoto era divenuto una
completezza della vita. Inoltre sentì che traeva
gioia non dai contatti esterni, bensì da se
stesso. Una sensazione, però, non lo lasciava:
doveva agire e in qualche modo doveva fare
qualcosa.
Quando arrivò la prima
settimana libera, a Pasqua, decise di andare
un’altra volta a vedere quel castello
misterioso. Arrivato a Bloix comprò un biglietto
per l'escursione nei dintorni. Nel programma
c'era la visita a quel castello. In pullman si
rilassò osservando la corrente poderosa della
Loira. Guardava il verde delle rive, godendosi
quel rilassante paesaggio. I pensieri, però, non
lo lasciavano in pace. Quanti desideri aveva da
giovane... E nessuno lo portò ad essere
soddisfatto. Ora voleva una sola cosa: scoprire
il mistero della vita.
Ecco il palazzo
affondato tra i castagni fioriti. Pino lo fissò
emozionato. Era più attento, questa volta. Notò
le decorazioni sui muri massicci, l’eleganza
della terrazza, i lampioni traforati.
Tutto diceva la ricchezza immensa e il gusto
fine dei padroni precedenti. Ed ecco il salone
che conosceva già. Entrò, era l'ultimo del
gruppo. Ora non ascoltava più la guida,
ascoltava solo il proprio cuore che gli
martellava nel petto. Il gruppo saliva sullo
scalone ben decorato, Pino invece si fermò giù,
davanti al ritratto della contessa. Lo fissò
intensamente e di colpo vide che Françoise lo
guardava dal ritratto. All'improvviso gli sembrò
che fosse viva e che gli avesse fatto
l’occhiolino. Gli si oscurò la vista. Cerchi
colorati gli lampeggiarono davanti al viso. Il
fracasso crescente negli orecchi arrivò al
culmine e si sparse. Il cuore gli fremette. In
un istante capì che di nuovo si trovava nel
passato. Stava vicino alla scala principale e
guardava i servi che si davano da fare. Si stava
preparando un grande ricevimento. Si spaventò,
guardò a destra e a sinistra. E senza sapere che
fare cominciò a salire la scala; poi si fermò
davanti ad un grande specchio. Si guardò e
quello che vide lo colpì come un fulmine. Dallo
specchio lo guardava il conte del ritratto.
Chiuse gli occhi per un istante senza credere a
quanto aveva visto e quando li riaprì, era
disteso sul pavimento di marmo. Intorno a lui si
affollava la gente preoccupata e ripeteva: "Il
dottore sta per arrivare".
Quando Pino
tornò alla villa, guardò la sua padrona con
altri occhi. Allora in quella vita passata
Françoise era sua moglie. Ma allora, perché il
destino voleva che si incontrassero di nuovo?
Una volta Carlo gli disse che il marito della
contessa era morto qualche anno fa. Da allora la
signora faceva la vita tranquilla di una vedova
ricca. Françoise era snella, non molto alta, con
un fisico elegante. Nonostante i suoi cinquanta
anni, era una donna attraente e molto piacevole.
Aveva molti amici. Sicuramente non sapeva niente
né della sua vita passata, né della
reincarnazione. Però era interessata alla
mistica: faceva le divinazioni sui Tarocchi.
Erano passati quattro mesi da quando Pino aveva
iniziato a lavorare per lei. Purtroppo si
vedevano raramente. All’inizio lei gli aveva
mostrato la casa e presentato i servi. Di sé,
però, parlava poco. Pino decise di instaurare
un’amicizia con lei. Sentì istintivamente che
l'ora giusta era arrivata. Parlò con Carlo, e
gli chiese se era un problema se lui stesso
avesse servito a tavola. Già la sera seguente
serviva da solo. La padrona era piacevolmente
sorpresa e gli propose di cenare insieme.
“Con grande piacere”, rispose Pino tutto
contento da un inizio cosi favorevole. Portò un
altro coperto e si mise di fronte a questa
signora, ancora sconosciuta per lui.
“Lei è
sempre molto impegnato”, cominciò Françoise.
“Devo dire che ogni sera mi vizia con qualche
piatto esotico”.
“Faccio tutto il mio
possibile”, sorrise Pino decisamente.
Prima
si stabiliva un contatto emozionale meglio era.
“È davvero bravo. Complimenti! Dove ha
imparato a cucinare cosi deliziosamente?”
Pino le parlò in breve delle sue esperienze.
Raccontò anche della moglie litigiosa, della sua
figlia, dei suoi hobby.
Finito di cenare,
Françoise gli propose di visitare la pinacoteca
famigliare. Pino accettò con grande gioia.
“Questi sono i ritratti dei membri della mia
famiglia”, indicava lei accompagnando ogni
quadro con una breve osservazione.
“Qui c’è
la collezione dei paesaggi”, continuava lei
passando in un'altra sala.
“E queste invece
sono le opere dei mio marito. A proposito, ecco
il suo autoritratto.” Così completò la rassegna.
Pino perse il dono della parola. Era proprio
lui: lo sconosciuto sorridente che vide al
Louvre qualche anno fa. Non c'era nessun dubbio.
“Interessante”, mormorò lui. “Spero che
un'altra sera parleremo della sua collezione
scendendo più nei particolari...”
“A dir la
verità potrei parlare per ore intere dei miei
quadri preferiti ...”
Pino sentì che era
preso da un profondo stupore. Capì che quel
incontro parigino non era stato casuale. Quel
signore nel museo gli disse qualcosa riguardo
alla meditazione... Allora, anche quella era una
visione del passato... Allora c'era qualcosa
sotto... Dopo quel incontro, la sua vita aveva
cominciato un nuovo corso. Ed il primo passo fu
l’acquisto del libro. Facendo le meditazioni,
pian piano Pino imparò ad osservare i propri
pensieri come se fossero i pensieri di un’altra
persona. Imparò ad estraniarsi dai propri sensi,
ad osservare il proprio comportamento. Però
doveva continuare il discorso.
“Françoise,
ho sentito che i domestici parlavano della sua
passione per le divinazioni”.
“Ma pensa, che
chiacchieroni...”
“Se permette, vorrei
essere uno dei suoi clienti”, disse e sorrise
con sforzo.
La contessa lo guardò con
interesse. Da un po' di tempo, nessuno cercava
la sua compagnia con tale insistenza.
“Va
bene”, rispose pensierosa. “Vuole cenare con me
anche domani sera?”
“Sarei molto lieto”,
disse Pino, e accennò a un inchino.
All'improvviso gli venne l’idea di piacere alla
signora. Poi gli venne un'altra idea: la sua
vita stava diventando leggera e piacevole.
Il giorno dopo sulla tavola fumavano gamberetti
alla tigre, granchi, salse di tutti i colori e
appetitose lasagne italiane. Pino superò se
stesso. Françoise accese le candele e mise della
musica romantica. La cena si svolse in un
silenzio solenne. Non gli andava di parlare. Di
tanto in tanto si incrociavano con gli sguardi,
ma Pino subito deviava il suo. Il suo inconscio
gli diceva che qualcosa di profondo li
aveva legati. Preso il caffè, passarono nella
sala dei camini. Su un piccolo tavolino
incrostato, era già pronto un mazzo di Tarocchi.
“S'accomodi, per favore”, gli indicò la
poltrona. “Facciamo una divinazione per il
futuro...”
“Mi sta spaventando”, scherzò
Pino.
“Devo dire che lei non ha certo l’aria
di una persona spaventata”, continuò lei
parlando seriamente.
“Françoise, poiché è la
prima volta, mi parlerebbe un po' di queste
carte?”
“Come desidera”, sorrise gentilmente
la contessa.
“Almeno in modo generale”.
“Stasera, allora, parleremo degli Arcani
Maggiori”.
Pino sentiva una serenità
insolita guardando questa donna enigmatica. E
capiva pure che avrebbe potuto imparare tante
cose da lei.
“Mai sentito la parola Arcani”,
disse lui mentre lei scrutava le carte.
“In
breve sono dei simboli”.
“In che senso? Che
simboli sono?”
“Ha mai sentito parlare dei
culti misteriosi egiziani?”
“Mi scusi ... Ma
sono ignorante...”
“In parole povere ... I
sacerdoti iniziavano i loro addetti ai segreti
reconditi del mondo”.
“In che modo? “
“Svelando il mistero dei simboli”.
“Cioè
degli Arcani?”
“Proprio così”.
“Quindi,
Françoise, lei conosce un sapere segreto?”
“Soltanto gli iniziati conoscono i segreti della
vita”.
Pino immaginava che la realtà dovesse
avere i suoi segreti, che il mondo visibile non
è tutto, che deve esserci qualcosa al di là
delle sensazioni quotidiane. Ma che cosa? La
contessa gli mostrò diverse carte. Pino, però,
non riusciva ancora a capire il senso delle
immagini. Era così complicato cogliere il
significato delle spiegazioni. Non riusciva a
rimanere concentrato sul suo racconto. Lei
s’accorse che era un po' distratto e disse:
“Prende un’altra tazza di caffè? La nostra
lezione può anche aspettare”.
“D'accordo”.
“Allora le mostro la mia biblioteca”.
Salirono al primo piano. Intarsiature
magistrali, marmo rosa, arazzi blu. Il lusso
della villa era stupefacente. Lei riuscì a
cogliere il suo pensiero dal suo sguardo:
“Mio marito era molto ricco. Abbiamo vissuto
insieme più di venti anni. Ma purtroppo senza
figli. Ma tutto quello che si fa, si fa per il
meglio. Lui studiava in una scuola veneziana. Ha
vissuto qualche anno in Italia e ha appreso
molto dai maestri del Rinascimento. Dopo ritornò
a casa. Dipingeva e diventò famoso. Allora la
sua casa era sempre piena di gente. Dopo i primi
anni mi sono stancata di tutti quei ricevimenti,
di quegli strani collezionisti”.
“Ma poi?”
“Dopo quindici anni vissuti così, lui smise
di invitare gente. Si chiuse nel suo
laboratorio. Non voleva vedere nessuno, parlava
solo con me. Mi amava come prima, ma ci vedevamo
raramente, di solito solo durante i pasti.
Conduceva una vita ritirata e dipingeva”.
“Ma doveva pur avere qualche amico?”
“Da
giovane ne aveva molti. Ma col passare degli
anni si era stancato della loro presenza, dei
loro discorsi banali, li considerava stupidi e
leccapiedi...”
“E come vi siete conosciuti?”
“In occasione di una delle sue mostre. Mio
padre lavorava in uno dei ministeri: visitare
mostre ed esposizioni faceva parte del suo
lavoro. Quando vidi Claude per la prima volta mi
piacque subito. Sopratutto mi colpì la sua
indipendenza dai diversi pareri. Era talmente
sicuro di se stesso… Era così attraente che non
sono riuscita a resistere al suo fascino...”
“E lei, Françoise, non ha mai pensato che per
lui era un grande onore sposarla?”
“Comunque
sia, mi sono innamorata di lui. Quanto abbiamo
viaggiato... Mi ha insegnato a distinguere gli
spettacolari colori della natura, ad amare la
poesia, ad intendermi di pittura ... Mi ha
insegnato a far amicizia con la gente…
Praticamente mi ha fatto innamorare della vita”.
“Ma non ha detto che viveva quasi come un
eremita?”
“Dopo aver compiuto quarantasei
anni è rimasto deluso di questo mondo e si è
chiuso… Voleva solo compagnia di se stesso. Ma
abbiamo mantenuto buoni rapporti per tutta la
vita”.
“E lui non condivideva mai i suoi
pensieri con lei?”
“Il mio intuito mi diceva
che Claude aveva scoperto qualche verità ignota
di cui non poteva parlare... Questo mondo non
suscitava più in lui alcun interesse...”
Pino si mise a riflettere. Gli sembrava che la
vita di questo pittore sconosciuto in qualche
modo influisse anche su di lui. Ricordò il loro
incontro al Louvre e quella parola
“meditazione”. Tutto sembrava quasi surreale. Ma
come era possibile che fosse un miraggio? Ma
Claude aveva l'aspetto di una persona in carne e
ossa. Eppure, allo stesso tempo era già morto da
qualche anno. Pino ricordava i quadri visti nel
castello medievale. Veramente erano dipinti di
un grande maestro.
Era tardi, quasi
mezzanotte. Ringraziò la contessa per la serata
e si lasciarono. Di notte non riuscì a dormire.
Nella sua testa correvano pensieri che andavano
avanti indietro indipendentemente dal suo
desiderio. Erano brani di qualche frase,
discorsi, esclamazioni di gente che lui nemmeno
conosceva.
La mattina seguente, dopo
aver dato gli ordini per la cucina, uscì a fare
una passeggiata. La brezza tiepida accarezzava
piacevolmente il suo viso. Camminava lungo la
spiaggia e ricordava diversi momenti della sua
vita che, tuttavia, non era così ricca di
emozioni e gente interessante come quella della
contessa. La sua, piuttosto, assomigliava ad un
continuo dovere. Prima nei confronti dei
genitori, poi del capo, poi della famiglia. Non
si godeva la vita, al contrario, era sempre
impegnato, doveva sempre fare qualcosa. Allo
stesso tempo, tuttavia, sentiva che quella non
era ancora vita vera, era solo una specie di
preparazione. Ora, finalmente, sentiva che la
vera vita aveva cominciato a pulsare nel suo
cuore. Decise di visitare un'altra volta quel
castello. Forse avrebbe scoperto ancora qualcosa
...
Ritornando a casa si accorse che la
contessa era seduta con un libro in uno dei
chioschi in giardino.
“Buongiorno”, disse
gentilmente.
“Bonjour”, rispose lei in
francese. “S'accomodi”.
Pino si accomodo’ su
una seggiola dal sedile impagliato e si guardò
intorno. Nel giardino dondolavano giovani pini,
lungo la siepe fiorivano oleandri rosa.
Cantavano uccelli invisibili. Prima, non s’era
mai accorto della bellezza della natura. In
compagnia della contessa si sentiva molto bene.
Lei chiese con voce serena:
“Da dove
viene?”
“Ecco... Ho fatto due passi pensando
al nostro discorso di ieri. Se ha tempo
ascolterei volentieri ancora qualcosa a
proposito ai Tarocchi”.
“L'altra volta ho
dimenticato di raccontarle della loro origine”.
“Mi ricordo solo che le carte rappresentano
dei simboli. Sarebbe interessante sentire la
storia della loro origine”.
“Dunque... Ai
tempi in cui l'Egitto stava per subire
l’invasione dei barbari, i sacerdoti compresero
che il paese avrebbe dovuto arrendersi e fecero
una riunione. Discussero su come conservare la
dottrina segreta di cui erano in possesso. Alla
fine uno dei saggi si alzò e disse pressappoco
così: "La maggior parte della gente è, per sua
natura, viziata”. Purtroppo, qualsiasi sapienza
può venir trasformata in qualcosa di pericoloso.
Quindi, propongo di trasformare i simboli della
nostra dottrina in carte, in pratica in carte da
gioco. E così, questo gioco d'azzardo venne
tramandato nei secoli da una generazione
all'altra. Nessuno saprà quale profondo mistero
è conservato in questi simboli. Così è stato
formato un mazzo di settantotto carte.
“Ma
in un mazzo da gioco ce ne sono
cinquantaquattro”, disse Pino pensierosamente.
“È vero, sono state ritirate ventidue carte,
gli Arcani Maggiori, e in seguito altre due
carte vuote che erano presenti nel mazzo”.
Dopo aver taciuto un istante Pino chiese:
“Ma che dottrina segreta può mai essere
racchiusa in queste immagini?”
“Soltanto gli
iniziati hanno l'accesso a questi misteri”,
rispose Françoise brevemente. “Allora, Pino,
facciamo la divinazione?”
“Non saprei... Lei
è sicura di non star perdendo il suo tempo con
me?”
“Non si preoccupi. Va tutto a
meraviglia.”
“Allora sono tutto orecchi. “
La contessa sorrise e disse:
“Allora che
vuole sapere? Dobbiamo porre una domanda
precisa: amore, carriera, figli, finanze.
“Va bene, ecco la mia domanda: che mi aspetta
nel futuro?“
Françoise separò lentamente i
Tarocchi. Ne pose sette a semicerchio sul
tavolo, poi, guardò attentamente le carte che
erano uscite. Dopodichè osservò Pino. Poi di
nuovo esaminò le carte e disse stupita:
“Non
credo ai miei occhi! Stamattina mi sono fatta la
stessa divinazione e sono uscite le stesse
carte…”
“Che vuol dire? “
“Penso che sia
un segno del destino. Ma non riesco a capire. I
Tarocchi dicono che noi abbiamo avuto lo stesso
passato, ora abbiamo lo stesso presente, e ci
aspetta lo stesso futuro. Che ne dice?”
Pino
non avendo la più pallida idea del futuro che
gli aspettava, ma considerando gli avvenimenti
successi al castello, disse:
“Può anche
essere la verità”.
“Ma non è possibile, ci
conosciamo appena…”
“La fortuna ci ha fatto
incontrare di nuovo”.
“Non la capisco”.
Françoise lo osservò attentamente.
Pino non
rispose. Si alzo lentamente e si guardò intorno.
Non credeva nelle divinazioni, ma in quegli
ultimi momenti qualcosa era successo. Cercò di
ricordare le teorie di Yung, che un tempo lo
avevano appassionato. In particolare pensava al
concetto della sincronicità, ovvero quelle
coincidenze inspiegabili della vita. Forse i
Tarocchi rappresentano quegli archetipi dei
quali parlava il grande filosofo. Può darsi che
le carte siano i simboli, la cui combinazione
determina il presente ricavando dall’inconscio
un sapere che aspetta solo d’essere liberato.
Pino disse con aria affaticata:
“Scusi,
mi sento un poco stanco… Se permette vado a
riposare”.
“Va bene… A domani!”, la contessa
lo guardò perplessa.
Pino si alzò e si
diresse verso la sua stanza. Voleva mettere in
ordine i propri pensieri. Forse valeva la pena
raccontarle del castello. Forse poteva avere un
senso andarci insieme la prossima volta. Forse
dovevano sposarsi di nuovo. Pino andò a letto
profondamente turbato. Aveva un sogno
ricorrente: era come chiuso in una grande
gabbia, camminava dentro, cercava l’uscita,
provava a piegare le sbarre di metallo, e d'un
tratto trovava una piccola feritoia e, piangendo
dalla gioia, ci passava attraverso. Ma non
appena si trovava dall'altra parte e si alzava
in piedi, capiva che si trovava in un’altra
gabbia, di cui bisognava trovare la via
d'uscita. Questa situazione si ripeteva
all’infinito. Per l’ennesima volta si svegliava
assolutamente disperato.
Anche quella notte
visse lo stesso sogno. Questa volta, tuttavia,
il finale era diverso. Dopo essersi lasciato
alle spalle ancora una gabbia, si trovò su un
prato verde. Stava sul quel prato spazioso,
sotto la luce di un sole estivo ed ammirava
camomille e fiordalisi fioriti. Guardava il
cielo sereno e provava una sensazione di libertà
mai sentita prima. Questa sensazione
assomigliava molto alla felicità. L'intuito gli
suggeriva che finalmente i problemi erano stati
risolti e si era riuscito a riunirsi con Madre
Natura.
Si svegliò molto presto e
rimase a letto con gli occhi chiusi pensando al
suo sogno. Come un filo tirava dalla sua memoria
i piccoli dettagli delle sensazioni che aveva
provato poco prima. Il sesto senso gli
diceva che era vicino alla comprensione suprema.
Ricordò la divinazione del giorno precedente.
Anche quella era simbolica. Capiva perfettamente
che passato in comune potevano avere avuto loro
due. Il presente lo vivevano insieme già da
qualche mese. Ma per quanto riguarda il futuro?
Cosa voleva dire quella frase?
Quel giorno
si dedicò agli affari. Ma durante weekend si
mise di nuovo in cammino. Ed ecco di nuovo
Bloix: per la terza volta comprò il biglietto
per lo stesso itinerario. Turisti ce n’erano
pochi, soltanto alcune coppie anziane. Ecco come
sempre l'ultima fermata e l'ultima escursione.
Entrò nel castello senza accorgersi della gente,
senza ascoltare le spiegazioni della guida.
Seguendo il proprio intuito camminava lungo il
muro e, all'improvviso, sentì un sussurro appena
percettibile: "Ci rivediamo presto". Guardò
intorno, ma non c’era nessuno vicino. Il gruppo
si era allontanato parecchio.
Pino alzò gli
occhi sul quadro davanti al quale si trovava. Lo
sconosciuto del Louvre lo stava scrutando
sorridendo. In questo stato di shok, Pino saliva
lungo lo scalone dorato e, senza guardare allo
specchio, girò a sinistra. Si trovò in una
lussuosa sala azzurra. Ai muri erano appese le
tele pittoresche.
Si fermò al centro
dell’enorme sala e si guardò intorno, colpito
dalla magnificenza. Di colpo gli si annebbiò la
vista. Sentì un lieve capogiro. La sala cominciò
a girargli intorno. Sentì che stava per perdere
conoscenza. All'improvviso il muro gli si aprì
innanzi, e davanti al suo sguardo, cominciarono
a visualizzarsi come diapositive le immagini del
suo passato più remoto. Tornei cavallereschi,
ricevimenti mondani, consigli bellici, feste
pompose, fuochi artificiali. Pino si sentiva
partecipe di tutti quegli avvenimenti. Eccolo
tutto fiero caracollare davanti ai soldati.
Eccolo, tutto arrabbiato, pronunciare un
discorso nel Salotto Grande. Eccolo, mentre
parla bruscamente con sua moglie. Ecco che grida
presuntuosamente durante un consiglio bellico.
Sentiva che era colmo di disprezzo verso la
gente. Sentiva che la rabbia gli ribolliva
dentro quando qualcosa andava contro i suoi
interessi. L'ira scoppiava quando i suoi
desideri non si realizzavano...
Gli
fischiavano le orecchie. Pino aprì gli occhi e
si ritrovò in ambulanza. L'infermiera lo
guardava attentamente misurando i battiti del
cuore. Dopo un po’, si mise a sedere e guardò
fuori dal finestrino. La macchina si avvicinava
alla città. Pino disse che stava già meglio e
che doveva andare a casa. Chiese di fermarsi
davanti alla stazione e tornò alla villa in uno
stato di stupore. Senza parlare a nessuno, andò
nella sua stanza e si sdraiò sul letto. Dopo
qualche minuto si alzò e si mise a camminare
avanti indietro. Come un flash nella sua mente,
gli lampeggiò il pensiero che in questa vita lui
stava pagando per il suo passato, per la sua
presunzione, per la sua ira, per la sua rabbia,
per l’arroganza. Pagava con le sue sofferenze
quello che prima, grazie a lui, avevano passato
le altre persone. La giustizia si era
ristabilita. Capì che era stato dotato di bassa
statura per la sua mania di grandezza; che il
carattere di sua moglie non era casuale e che
lui doveva subire la stessa rabbia ed
intolleranza che, a sua volta, aveva provato
verso l’altra gente. Comprese che, in linea di
principio, veniva trattato così come lui
aveva trattato gli altri nella sua vita
precedente.
Pino pensò che, sicuramente,
aveva già pagato ciò che aveva fatto nella sua
vita precedente. Troppo infelice era stata la
sua vita. Non poteva dimenticare nè le parole di
Françoise, né la sua divinazione. Sapeva che
avevano avuto il passato in comune, ed i suoi
viaggi al castello lo confermavano. Poteva
essere d'accordo col fatto che avevano il
presente in comune, dato che da un po’ di tempo
vivevano sotto lo stesso tetto. Lo tormentava il
pensiero del futuro in comune. Sul serio doveva
fare il cuoco per lei per tutta la vita? Oppure
alla fine dovevano sposarsi? Gli girava la
testa, con tutti quei pensieri.
Quella
sera, per la prima volta nella sua vita, decise
di farsi lui stesso una divinazione. Coprì la
tavola con una tovaglia verde, aspettò la
mezzanotte, accese la candela e prese i Tarocchi
fra le mani. Seduto a tavola non poteva non
sentire che qualcosa di mistico stava bussando
alla sua porta.
“Prima faccio per me”,
borbottò mescolando le carte. “Userò il metodo
più semplice ... Allora, come sarà il mio
futuro?”
Scelse una carta a caso e la mise
sul tavolo. Aprì il libro e lesse:
"Trasformazione". Ccosì era stato interpretato
il significato di quella carta. Si mise a
pensare, in che senso trasformazione? Il
cambiamento? Ma di cosa? Che cosa si poteva
cambiare alla sua età? Idee, pensieri,
convinzioni? Non riusciva a svelare il senso di
questo Arcano.
“Va bene, non importa”, disse
a se stesso. “Ora faccio la divinazione per
lei”.
Quella volta mescolò le carte a lungo
e molto minuziosamente.
“Va bene ... Ora”,
mise i Tarocchi sul tavolo e decise di non
andare a caso, ma di scegliere la tredicesima
carta. La prese in mano e per un po’ di tempo
non riuscì a girarla. Finalmente, molto, molto
lentamente, la girò e la mise davanti a sé. Era
la stessa carta: “Trasformazione”.
Pino
soffiò sulla candela e si alzò lentamente. Tutto
coincide. Si coricò lentamente sul divano.
“Domani parlerò con Françoise”, disse a se
stesso addormentandosi stremato.
L'indomani,
durante il pranzo, iniziò dicendo:
“Françoise, volevo dirle una cosa ... Da quando
sono arrivato ho una strana sensazione come se
noi ci conoscessimo da molti anni.
“Questo
pensiero qualche volta è venuto anche a me”,
disse lei, in modo evasivo.
“Lei crede nella
reincarnazione?”, chiese Pino improvvisamente.
“Ho letto molto su questo argomento ... Pero
è difficile credere a qualcosa finché non ne
abbiamo fatto esperienza, vero?”, lei lo guardò
attentamente.
“Mi sono convinto di una cosa:
nella vita precedente noi eravamo marito e
moglie”.
La contessa lo guardò negli occhi
con diffidenza e chiese direttamente:
“Ha
delle prove?”
“Ne ho, e vorrei mostrarle
anche a lei”.
“Mi sembra sia una cosa
curiosa“. Françoise sorrise in modo ambiguo:
“Forse lei si riferisce alla mia divinazione”.
“Anche questa è una delle prove”.
“Ma è
troppo poco per credere.”
“Lo so”, disse lui
e aggiunse: “Vorrei invitarla ad una gita ...
Però mi prometta di non fare nessuna domanda
finché non saremo sul posto”.
“Tutto questo
mi sembra molto misterioso”, sorrise di nuovo.
“Allora dove andiamo?”
“Verso Parigi”. Per
il momento Pino decise di non raccontarle delle
visioni che aveva avuto.
“Buon idea ...
Anche perché è da lungo tempo che sto a casa,
quasi senza uscire”, si rallegrò Fransuase.
“Propongo di partire domani: passiamo una notte
a Parigi e la sera seguente arriveremo alla meta
del viaggio”.
“Va bene, devo soltanto
avvertire l'autista”.
Dopo pranzo lei
propose:
“Facciamo due passi per il
giardino?”
“D'accordo”.
Passeggiavano sotto i castagni e si parlavano
come se avessero aspettato solamente quel giorno
per raccontarsi le cose più intime. Le rose
fragranti guardavano loro da tutti le parti e
sembrava che anch'essi avessero ascoltato le
effusioni dei due cuori.
L'orologio suonò le
quattro del pomeriggio. Senza accorgersi del
tempo che passava, Pino continuava a parlare dei
guai passati durante l’infanzia, delle sue
sfortune, delle beffe dei compagni di scuola.
Parlava del suo sfortunato matrimonio, dei
continui pretesti della moglie per litigare, dei
problemi con la suocera. Ricordava le indelicate
allusioni dei colleghi alla sua lentezza e al
suo carattere chiuso. E di nuovo soffriva
ricordando gli scherzi della gente a proposito
della sua statura. Pino apriva il proprio cuore
raccontando della sua gelida solitudine in
famiglia, in ufficio, nella vita. Raccontava
anche che, dopo aver compiuto quaranta anni,
quando ormai non aveva più nessuna speranza di
essere in armonia con il mondo, un giorno si era
rivolto al mondo invisibile e tutte le sere,
prima di addormentarsi, ringraziava Dio per il
giorno vissuto. Raccontava come aveva cominciato
a frequentare la libreria. Sembrava che una mano
ignota lo avesse condotto verso i libri della
saggezza. Come per la prima volta aveva scoperto
la “meditazione”, parola a lui sconosciuta.
Spiegò come incontrò quel tizio al Louvre, e
come aveva intuito il fatto che si trovava sulla
strada giusta. In quel periodo della sua vita
aveva letto molto, e bisogna dire che quasi
tutti gli autori scrivevano a proposito della
pratica meditativa e sottolineavano come fosse
l’unico modo di conoscere e capire se stessi.
Aveva cominciato a praticarla un poco alla
volta, senza farsi vedere. Françoise ascoltava
senza interrompere. Sembrava che anche lei
stesse ricordando la propria vita.
Verso
le cinque si fermarono davanti al castello, dopo
aver deciso di non passare per Parigi. La cassa
del museo era ancora aperta, ma non si vedevano
turisti in giro.
“Che giardino favoloso”,
esclamo Françoise, osservando le aiuole fiorite.
“Forse, finalmente, mi rivelerà il segreto del
nostro viaggio?”
“Senza dubbio”.
Entrarono nell'atrio. Pino la prese per mano. Si
avvicinarono lentamente allo scalone dorato.
Senza parlare cominciarono a salire. Trattennero
il respiro sentendo che stava per accadere
qualcosa di straordinario. Si fermarono davanti
allo specchio.
D'un tratto, in un istante si
spensero tutte le luci del castello. Tutto venne
avvolto da un buio profondo. Françoise, senza
dire una parola, gli strinse la mano. Intorno a
loro regnava un silenzio indescrivibile.
Restarono fermi e stupefatti. Pino non avrebbe
saputo dire quanto a lungo rimasero cosi, forse
un minuto forse, invece, qualche ora. La
cognizione del tempo sparì. All'improvviso, si
videro scintillare nel buio delle piccole luci.
Queste si avvicinarono lentamente verso di loro
come fossero un turbine. Le scintille ballavano
davanti ai loro occhi una fantastica danza del
fuoco. Sembrava che nel mondo non esistesse
nient'altro a parte queste stelline divampanti
che giravano davanti a loro sottoforma di
spettacolari cascate di luce. Non subito si
resero conto che furono già trovati sotto il
cielo aperto. Una pioggia scintillante li
accerchiò da tutte le parti, un vortice d'oro
dolcemente li staccò dalla terra e cominciò a
sollevarli soavemente su nell'aria. Pino e
Françoise, incantati da uno spettacolo mai
visto, continuavano a tenersi per mano. Più
tardi non furono neanche sorpresi quando i loro
corpi fosforescenti volavano nell'alto sopra
Parigi. Dopo un istante, un potente vortice di
luce dorata li fece girare a una velocità enorme
e li portò direttamente verso le stelle
baluginanti.
“I Tarocchi hanno detto la
verità”, pensò Pino, volando nello spazio per
ritrovare se stesso.